Andrea Laffranchi, Corriere della Sera 25/11/2008, 25 novembre 2008
MILANO
Giovanni Allevi come san Francesco d’Assisi. Da «Harry Potter del pianoforte» al «santo pianista». Allevi stesso a suggerire il paragone nelle pagine del suo secondo libro, «In viaggio con la Strega» (esce domani per Rizzoli), in cui ricordi, aneddoti, flashback e riflessioni personali ricostruiscono l’anno di «Evolution », l’album con orchestra pubblicato a giugno e arrivato a vendere oltre 80 mila copie e che avrà un coronamento venerdì con il cofanetto «AlleviAll» che raccoglie i suoi album più fortunati «No Concept », «Joy», «Evolution» e il dvd «Joy Tour 2007».
Siamo ad Assisi, il giorno del debutto del tour. Allevi viene accompagnato a visitare la Basilica dove è conservato l’affresco di Giotto che raffigura Francesco in udienza dal Papa per presentare il nuovo ordine. Il Custode racconta lo scetticismo con il quale venne accolto: «Vede Allevi – dice ”, quando il nuovo avanza, fa sempre paura, soprattutto se è nella forma della semplicità, da tutti riconoscibile».
il modo di Allevi di togliersi tutti i sassolini dalle scarpe. Con il mondo della musica classica che lo ha sempre criticato e snobbato. Ma anche con quello del pop dove il pianista ha mosso i primi passi. Che avesse collaborato con Jovanotti lo si sapeva, ma per la prima volta Allevi scende nel dettaglio. Il racconto ci porta al 2001, quando, il giorno dopo l’esame per il diploma in Composizione al Conservatorio, entra come tastierista nel gruppo di Jova, che gli aveva già prodotto un disco.
L’impatto è molto duro: «Gli altri mi vedono come un extraterrestre, un topo di biblioteca. Nella band conta soprattutto quanto appari figo», ricorda. E lui che al posto degli occhiali da sole ha dei «fondi di bottiglia» alla prima cena fa già il primo errore. Gli dicono che c’è bisogno di improvvisazioni alla Chick Corea.
«Basta chiedere», risponde. E la sua sicurezza, la sua conoscenza di Corea («Il mio mito») viene presa per spocchia. Da corpo estraneo al gruppo finisce per subire il clima da caserma («quando Lorenzo non c’è», precisa) «dove loro sono i "nonni" e io l’ultimo arrivato».
La sua avventura nel pop finisce con un secondo disastro: gli viene chiesto un arrangiamento di archi. Dalla sua penna esce qualcosa che non va bene, che pure i giovani musicisti chiamati a eseguirlo faticano a suonare. Gli fanno capire che il pop non è il suo mondo. «Io non avevo bisogno di fiori colorati, volevo solo un imbianchino», prova a consolarlo Lorenzo. «Ma allora dovevi chiamare un imbianchino e non un pittore», replica lui.
Arroganza, si potrebbe interpretarla così. Un carattere sicuro e determinato, «megalomane» come si autodefinisce lui quando ricorda l’sms mandato al suo produttore al termine della masterizzazione del cd «Evolution»: «Da questo esatto momento, la musica classica non sarà più la stessa».
Allevi è sicuro di quello che fa e ce lo ricorda ad ogni pagina. Cosa lo contraddistingue dagli altri e cosa porta un pianista classico nelle classifiche di vendita a fianco delle canzoncine pop e delle schitarrate rock? « necessario affidare agli strumenti d’orchestra una ritmica che sia la cifra della contemporaneità, quella ritmica che può essere concepita solo nel nostro tempo e che i i grandi compositori del passato non potevano immaginare». Ecco perché in alcuni passaggi di «Evolution» dice di sentirsi addirittura hip hop. Un paragone che farà inorridire il mondo accademico, ma lui la vede così: «Voglio che la musica contemporanea torni fra la gente. ora di voltare pagina».
Allevi è orgoglioso del suo successo. San Francesco è troppo? Accontentiamoci, sembra suggerire in una riflessione, del fatto che il suo successo possa essere utile per far capire a qualche ragazzino «che l’Italia non è solo il paese di veline e calciatori».
Andrea Laffranchi