Massimo Gaggi, Corriere della Sera 25/11/2008, 25 novembre 2008
DAL NOSTRO INVIATO
NEW YORK - «Avanti ancora un po’ così e il 20 gennaio, entrando alla Casa Bianca, Obama sarà come il capitano del Titanic dopo l’urto con l’iceberg: potrà solo cercare di usare al meglio le scialuppe di salvataggio», scriveva l’altro giorno il presidente di Inside Mortgage, un centro studi sul mercato dei mutui.
E’ un sospetto che, dopo la nuova crisi bancaria della scorsa settimana e un altro salvataggio deciso dalle autorità in piena emergenza domenica notte (stavolta il contribuente Usa si è dovuto caricare sulle spalle il gigante Citigroup), deve essere venuto anche al neopresidente. Anche dopo due giorni di recuperi a Wall Street. Ieri, nell’incontro con la stampa a Chicago, Obama era teso, accigliato. Ha ripetuto che quella attuale è una crisi di proporzioni storiche, ma stavolta si è soffermato anche sul calo dei consumi («gli acquisti di ottobre sono i più bassi da 50 anni»), sulla disoccupazione («la crescita più alta degli ultimi 18 anni») ed ha aggiunto che, se non si interviene subito, nel 2009 l’America perderà «milioni di posti di lavoro».
«Per questo» ha spiegato presentando la sua squadra economica centrata sul ministro del Tesoro, Tim Geithner, e sul «superconsigliere» economico, Larry Summers, «ho cercato di scegliere non solo le menti migliori, ma anche personaggi capaci di mettersi a correre fin dal primo giorno». Ancora un mese fa Obama, pur giudicando catastrofica la gestione dell’economia da parte dell’attuale presidente, mostrava di avere fiducia in Paulson e Bernanke. Fino al punto di sostenere con maggior calore di McCain il piano di salvataggio delle banche del ministro di Bush e del capo della Federal Reserve.
Ma oggi il leader democratico è deluso: solo dieci giorni fa, al G 20 di Washington, il titolare del Tesoro aveva detto che il sistema bancario era ormai stabilizzato. Invece, nei giorni successivi, i valori delle banche sono precipitati di nuovo e il colosso Citigroup ha perso in 72 ore il 60% del suo valore. Il Tesoro è stato costretto a un altro costosissimo salvataggio: oltre 300 miliardi di obbligazioni immobiliari senza mercato trasferite dalla banca al governo Usa; che ha dato all’istituto anche 20 miliardi di capitale fresco in aggiunta ai 25 già erogati, giorni fa, col «piano Paulson».
«E’ evidente che qualcosa non ha funzionato», ha commentato a denti stretti Obama. Che, portando l’uomo più esperto del suo team (Larry Summers) non al Tesoro ma alla Casa Bianca segnala, secondo molti, l’intenzione di designarlo alla guida della Federal Reserve quando, tra poco più di un anno, scadrà il mandato di Ben Bernanke. O, forse, anche prima. Proprio ieri il New Yorker ha pubblicato un lungo articolo sul ruolo svolto in questi mesi di crisi dal capo della Fed nel quale lo stesso Bernanke ammette di aver sbagliato a pensare che la crisi dei mutui sarebbe rimasta confinata nel mercato immobiliare.
Obama non ha certo intenzione di spingere Bernanke alle dimissioni, ma è un fatto che i mercati non si sono mai fidati troppo del barbuto professore di Princeton e, soprattutto, che la Fed è divenuta ancor più strategica del Tesoro nella gestione della tempesta finanziaria che squassa l’America.
A fronte del «piano Paulson» da 700 miliardi di dollari (solo 290 dei quali fin qui spesi), infatti, la Banca centrale Usa dall’inizio della crisi ha più che raddoppiato il suo bilancio: da 900 miliardi a 2 trilioni (duemila miliardi) di dollari. L’Istituto ha erogato circa mille miliardi tra liquidità immessa nel sistema, acquisti di titoli «tossici», prestiti per salvare il gruppo assicurativo AIG. Ha perfino acquistato «commercial paper» per riattivare i prestiti per la gestione quotidiana delle imprese.
E, dopo aver ridotto i tassi all’1 per cento (come già fece Greenspan: «denaro facile» all’origine della crisi attuale), ora la Fed vuole tagliare ancora. Cosa necessaria, date le gravi condizioni dell’economia, ma temeraria. Che richiederà una vigilanza straordinaria su un mercato che si sta ripopolando di «predatori» attratti dal denaro a buon mercato. Vigilanti dei quali il presidente si deve poter fidare.
Massimo Gaggi