Alessandra Retico, la Repubblica 21/11/2008, 21 novembre 2008
Quel traditore di open space. Piaceva l´idea all´inizio, lo spazio aperto e condiviso dell´ufficio contro i reparti chiusi e gerarchici della fabbrica
Quel traditore di open space. Piaceva l´idea all´inizio, lo spazio aperto e condiviso dell´ufficio contro i reparti chiusi e gerarchici della fabbrica. E invece tutto un inganno: lo stanzone egualitario, democratico e creativo altro non è che un meccanismo di controllo sociale. Uno che sorveglia l´altro, e tutti lo facciamo per il capo. Inevitabilmente e gratis. Il sistema di arredi - mobili, pareti basse, ambienti in comune - in origine fu pensato per non isolare: scrivania accanto a scrivania, idee che si mischiano, produttività che aumenta. E invece altro che: lo spazio fisico si è ristretto nel tempo, il disturbo ambientale è raddoppiato e lo scopo nobile svilito. Una vita a gomito dell´altra, tutte sotto l´occhio del boss. Nelle futuristiche intenzioni dei designer degli anni ?60 era luogo comunicativo e umano l´open space. Adesso nessuno lo vuole più. Troppo umano, forse, tanto che t´ammazza. la tesi di L´open space m´a tuer (con voluta storpiatura grammaticale, con valore rafforzativo: proprio ammazzato), un pamphlet scritto da due specialisti del lavoro 35enni, Alexandre des Isnards e Thomas Zuber, e che è finito sotto la lente dell´Osservatorio sulla qualità della vita in ufficio, la francese Actinéo. L´argomento dei due è che gli stanzoni dove lavoriamo tutti insieme saranno pure moderni e smart, giovanili e calorosamente camerateschi, ma proprio per questo spersonalizzanti, confusionari, antiproduttivi se non per una dose supplementare di stress. Usano l´impiegato, mettendo in scena una condivisione che non esiste. Il suo ruolo occulto è un altro: fare da sentinella al sistema di potere. Altro che strategia progressista dell´organizzazione del lavoro. Il travet rimane travet, il boss, anche illuminato, boss. L´open space è «un sistema di controllo sociale» spiega a Le Figaro Alain d´Iribarne, direttore della ricerca al Cnrs francese. Ognuno sorveglia l´altro, le chiacchiere, le volte che va al bar o al bagno, quanto naviga in Rete e se ieri è stato davvero malato. Una vigilanza ambientale che i colletti bianchi esercitano inevitabilmente al servizio del management. Senza che venga chiesto, senza che venga formalizzato. E la struttura aperta è, architettonicamente, paradigma di controllo. Aperta si fa per dire. Il designer Robert Propst riflette e poi realizza negli anni ?60 per l´azienda Herman Miller l´Action Office, uno spazio malleabile per stimolare il movimento e la condivisione di idee tra dipendenti. Per abbattere il monolite dell´ambiente gerarchico. Per liberare le energie, renderle più fluide e dinamiche. Ma dal prototipo del ?64 alla sua realizzazione commerciale (nel 1969), qualcosa era già cambiato: la struttura modulare diventa assemblabile, stile Ikea, tutto il necessario sfruttando ogni centimetro quadrato. Da lì i cubicoli, piccole celle che si vedono anche nei call center europei, 2,5 metri a testa e nessuno dica che è dispersivo. tutto in comune, eccome: le orribili suonerie dei colleghi, il capo che chatta, il vice con la sua musica angosciosa, il vicino che mette i piedi sul tavolo e cioè sotto il tuo naso, quella che urla anche se dice ciao e l´altro che la rimbrotta e accade ogni minuto per otto ore al giorno tutti i giorni. E poi gli odori, i tic, le nevrosi, la parole inutili che bisogna subire, le cene da fissare, il manzo da tritare, le baby sitter infìde, le liti col fidanzato e poi lo sfogo con l´amica, la tv accesa, l´aria condizionata alta, no bassa, la finestra chiusa e la luce soffusa, ma anche la finestra aperta e i neon sparati addosso. Non bastano i tappi alle orecchie e manco la concentrazione zen. In uno studio del Politecnico di Bari si dice che negli uffici danno fastidio nell´ordine: i colloqui dei colleghi (31%), le telefonate (27%), gli impianti di condizionamento (15%), le macchine tipo stampanti (13%). Il caos sarà pure creativo, ma anche il silenzio ha le sue cose da dire. ALESSANDRA RETICO PER LA REPUBBLICA DI VENERDì 21 NOVEMBRE 2008