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 2008  novembre 21 Venerdì calendario

TIMOTHY GARTON ASH SU REPUBBLICA DI VENERDì 21 NOVEMBRE 2008

I canguri, leggo sul South China Morning Post, in origine provenivano dalla Cina. La fonte è l´australiano Centro di Eccellenza per la Genomica dei Canguri, quindi sarà vero. E i Panda? Magari ci diranno che venivano dalla Francia e i kiwi dal Costa Rica.
Il tempo è fuor di sesto. I cieli sono pieni di portenti.
I titani della finanza di ieri sono ridotti in polvere, e la General Motors mendica alla porta del governo. Il mondo cambia davanti ai nostri occhi e qui a Hong Kong alcuni degli operatori commerciali più brillanti del mondo zitti zitti prendono nota.
Da questo straordinario punto d´incontro tra oriente e occidente è subito evidente lo spostamento da ovest a est. Più specificamente: il rafforzarsi del potere della Cina e l´indebolirsi di quello americano. Navigando nell´arcipelago di grattacieli di Hong Kong, collegati da passaggi pedonali sopraelevati, oggi si guarda con una certa preoccupazione la Aig Tower, e forse con un po´ più di rispetto la sede avveniristica in vetro scuro della Bank of China, progettata da I. M. Pei, anche se la Hsbc di Norman Foster all´apparenza regge bene.
Sul piccolo schermo si alternano le immagini del campione di football americano diventato ministro del Tesoro, Hank Paulson, che stranamente perde le staffe davanti alla commissione del Congresso Usa nel momento in cui sembra che il suo piano di salvataggio debba essere salvato, e le immagini del presidente cinese Hu Jintao che a capo di una delegazione di 600 membri va tranquillo in Perù dove firmerà un accordo commerciale bilaterale grazie al quale la Cina potrebbe scavalcare gli Usa e diventare primo partner commerciale di quel Paese dell´emisfero americano.
Intervistato su un canale regionale, il ministro delle Finanze indiano rileva con soddisfazione che il summit finanziario a Washington è stato un G20, non semplicemente un G8. così che dovrebbe essere, afferma, e rimanere. L´ostentata modestia dello sviluppo («Una superpotenza? Chi, noi?») svanisce per un attimo nel momento in cui il capo del Consiglio di sorveglianza del fondo sovrano China Investment Corporation, Jin Liqun, dichiara che i Paesi sviluppati farebbero bene a cercare aiuto dai Paesi in via di sviluppo come la Cina, «con umiltà». Riferendosi alla richiesta di un´ulteriore iniezione di capitale nel Fmi commenta: «Nessuno farà il vostro gioco se volete che la Cina esborsi denaro nell´aggravarsi della crisi finanziaria quando ci concedete ancora scarso potere di voto».
Non sarà che allo spostamento di potere si accompagni uno spostamento ideologico? palese che l´economia del libero mercato in stile americano vive delle difficoltà, persino in una serra di scambi di libero mercato come Hong Kong, mentre il mix cinese continentale costituito da un´economia di mercato più statalizzata, con enorme accumulo di riserve cui attingere in una crisi di questa portata, sembra passarsela assai meglio. Mi dicono che alcuni cinesi di Hong Kong la pensano così, addirittura con un pizzico di orgoglio nazionale. Ma conoscono anche fin troppo bene tutte le debolezze del sistema cinese attuale, vissute sulla pelle dei loro amici e parenti sul continente - ovvero l´ineguaglianza, la corruzione, l´insicurezza e, ebbene sì, l´inefficienza - per innamorarsi dell´idea semplicistica di uno sfavillante modello cinese.
In realtà la storia che mi raccontano qui è assai più interessante e sottile. la storia di un grande dibattito di natura ben più pragmatica in corso in tutta la Cina, dibattito cui gli intellettuali e gli attivisti della società civile cinese di Hong Kong possono partecipare e partecipano. Come può combinare la società cinese l´efficienza dell´economia di mercato che attinge ad uno spirito imprenditoriale indigeno comparabile a quello americano, con un certo livello di equità, coesione sociale o addirittura "armonia"? Dietro queste parole grosse, a tutto tondo, sta una realtà sociale spesso disperata e instabile che vede i cittadini della Repubblica Popolare Cinese scendere frequentemente in piazza per protestare - il ministero della Sicurezza pubblica ha registrato circa 74.000 "episodi di massa" nel 2004 - e, come è accaduto questa settimana nella provincia di Gansu, scontri con i reparti antisommossa della polizia e atti di vandalismo contro gli edifici governativi. Come risolvere il problema? Tutti i suggerimenti sono ben accetti. Beh, quasi tutti.
Senza dubbio il contesto ideologico resta importante. Il presidente Hu non perseguirà il cosiddetto "capitalismo democratico", e il presto ex presidente Bush non abbraccerà il "socialismo con caratteristiche americane". Ma sotto le grandi etichette le realtà sono spesso sorprendenti. Ad esempio agli occhi dei più gli Usa sono un Paese in cui l´intervento statale è limitato mentre è massiccio in Cina. Ma secondo le stime di Wang Shaoguang, accademico cinese di Hong Kong, in Cina oggi i governi centrale e locale ridistribuiscono globalmente solo circa il 20% del Pil. Negli Usa il dato è assi più elevato. La percentuale varia da uno stato federale all´altro, ma il governo senza dubbio ridistribuisce di più nell´America blu che nella Cina rossa.
Quello che conta davvero è quello che funziona. C´è chi estende questo complesso pragmatismo anche al sistema politico. Non si tratta solo di democrazia o non democrazia, bianco o nero. Esistono molte gamme di democrazia. Si fa l´interessante ipotesi che il sistema usato a Hong Kong per eleggere il capo dell´esecutivo, affidato a un comitato elettorale composto principalmente da rappresentanti nominati dai cosiddetti collegi di categoria (vari settori economici, gruppi religiosi, persino 20 membri in rappresentanza della Medicina cinese) con il placet finale delle autorità cinesi, sia un modello cui la leadership cinese guarda nel valutare come estendere la democrazia, per come la intende, al proprio sistema.
Se è vero, è affascinante e costituirebbe un progresso. Ma ho ancora troppo impressa nella mente l´elezione presidenziale americana per sposare la tesi che si tratti di democrazia. vero, esistono molte varianti tra la tirannia completa e la democrazia liberale, ma da qualche parte esiste una demarcazione netta e non è difficile da trovare. Ecco il test: se non si sa chi vincerà le elezioni probabilmente si è in democrazia. Non eravamo certi che vincesse Obama, ricordate? Il successore di Hu non sarà scelto dal popolo cinese. La differenza è netta e fondamentale.
Ma quando si passa al sistema socio-economico, ai complessi negoziati tra crescita, coesione sociale e sostenibilità ambientale, o tra i ruoli del settore pubblico e privato, allora credo che - all´interno dell´universo delle economie di mercato - non esista più una linea di demarcazione netta, non esista più il bianco e nero. Come la Cina continentale, Hong Kong e persino Taiwan sono impregnate in un dibattito complesso e spesso indiretto su come affrontare il problema nella società cinese, sarebbe del tutto sensato se i policymaker cinesi si mettessero a tavolino con i leader di India o Brasile e chiedessero: come fate voi laggiù? Ecco come facciamo noi.
Rudyard Kipling, il poeta dell´impero britannico che naturalmente visitò Hong Kong, scrisse una famosa poesia, La ballata dell´est e dell´ovest: «Oh, l´est è est e l´ovest è ovest, e mai i due si incontreranno». Non è più vero, se mai lo è stato. Si incontrano e si mescolano continuamente. Kipling prosegue: «Non c´è est e non c´è ovest? quando due uomini forti sono faccia a faccia». Oggi direi piuttosto: non c´è est e non c´è ovest quando dei governi deboli cercano di soddisfare i bisogni di popoli in perenne movimento su un pianeta surriscaldato.
(www.timothygartonash.com. Traduzione di Emilia Benghi)