Maurizio Molinari, la Stampa 17/11/2008, 17 novembre 2008
Croci bruciate, fantocci impiccati, lotterie sull’assassinio del presidente, aggressioni e ogni sorta di insulti razzisti, a volte lanciati anche da bambini: è il ritratto della galassia dell’intolleranza contro gli afroamericani che il «Southern Poverty Law Center» di Montgomery, in Alabama, documenta in un rapporto che enumera quanto avvenuto dall’indomani della vittoria di Barack Obama nelle elezioni americane
Croci bruciate, fantocci impiccati, lotterie sull’assassinio del presidente, aggressioni e ogni sorta di insulti razzisti, a volte lanciati anche da bambini: è il ritratto della galassia dell’intolleranza contro gli afroamericani che il «Southern Poverty Law Center» di Montgomery, in Alabama, documenta in un rapporto che enumera quanto avvenuto dall’indomani della vittoria di Barack Obama nelle elezioni americane. Si tratta di «centinaia di incidenti», come scrive Mark Potok, il direttore dell’«Intelligence Project» che ha curato lo studio, avvenuti «dalla California al Maine» anche se concentrati in gran parte degli Stati del Sud con un’ondata di atti di razzismo, frutto della reazione dei settori più intolleranti a un risultato elettorale non gradito. Sfogliando le pagine del rapporto ci si immerge in una realtà di odio contro gli afroamericani che i maggiori mezzi di informazione in America tendono a minimizzare. A Snellville, un piccolo centro della Georgia, Denene Millner ha visto la figlia di 9 anni tornare a casa in lacrime dopo essere stata insultata da un coetaneo bianco che sullo scuolabus le ha detto: «Spero che Obama sarà assassinato». La stessa notte la cognata di Millner ha avuto il giardino devastato da vandali che, divelti alcuni simboli di Obama, le hanno lasciato due cartoni di pizza contenenti feci umane. «Non posso certo dire che tutti i bianchi di Snellville siamo malefici e anti-Obama, ma quanto avvenuto mi fa sorgere dei dubbi su che cosa abbia in mente chi compie tali gesti» ha dichiarato la Millner ai ricercatori del «Center» di Montgomery, che hanno raccolto da Grant Griffin, donna bianca di 46 anni della Georgia, questa testimonianza: «La nostra nazione è in rovina, l’elezione di Obama è solo il culmine di un processo in corso da decenni, l’unico vero cambiamento necessario sarebbe stato deportare tutti i membri della Chiesa di Obama». Sempre in Georgia, a Covington, il giorno dopo il risultato elettorale un liceale afroamericano è andato a scuola con una maglietta di Obama e il preside l’ha sospeso. La madre Eshe Riviears ha reagito rassegnata: «Piaccia o meno, siamo nel Sud e non ci sono molte persone felici di come sono finite le elezioni». Di fronte a tali testimonianze William Ferris, direttore associato del Centro di studi per il Sud all’Università della North Carolina, spiega che «la vittoria di Obama costituisce il più profondo cambiamento razziale nel Paese dai tempi della Guerra Civile, con il risultato di scuotere le fondamenta secolari della società». Proprio all’Università statale della North Carolina un gruppo di studenti ha ammesso di aver scritto insulti anti-Obama nel «tunnel della libertà di parola» dell’ateneo. Uno di questi graffiti recita: «Spariamo in testa a quel negro». A Standish, in Maine, un supermercato ha organizzato una singolare lotteria: si può scommettere un dollaro sull’assassinio di Obama «accoltellato, ucciso da una pallottola, da una bomba lasciata sul ciglio delle strada o freddato in qualsiasi altro modo». Il nome del concorso è «Poligono Osama-Obama» e a fianco è stata apposta la scritta «speriamo che qualcuno vinca». Sempre in Maine, uno degli Stati politicamente più liberal dell’America, nell’isola di Mount Desert sono stati trovati dei fantocci neri appesi agli alberi. Nel capitolo delle offese giunte da minorenni anche lo scuolabus di Rexburg, in Idaho, nel quale i bambini si sono messi improvvisamente a cantare «Assassinate Obama». Scritte razziste sono state trovate in molte metropoli, da Los Angeles dove l’invito-insulto «Tornatevene in Africa» ha coperto auto e marciapiedi, a Long Island. A New York un ragazzo nero è stato aggredito proprio durante l’Election Night da quattro bianchi che, agitando mazze da baseball, gridavano «Obama, Obama». Nella fenomenologia del razzismo post-elettorale numerosi gli episodi di croci bruciate, emulando uno dei riti più conosciuti del Ku Klux Klan, com’è avvenuto a Hardwick, in New Jersey, e a Apolocan Township, Pennsylvania, nel giardino di casa di sostenitori di Obama. «Ciò che accomuna tali azioni razziste - commenta il sociologo B.J. Gallagher, autore del libro "Un pavone nella terra dei pinguini" - è la volontà di vendicarsi contro qualcuno che assomiglia al nemico al quale non è possibile arrivare». Ecco perché le protezioni di Fbi, servizi segreti e polizia attorno a Obama continuano a rafforzarsi: nessun presidente è mai stato oggetto di tante minacce. MAURIZIO MOLINARI PER LA STAMPA DI LUNEDì 17 NOVEMBRE 2008