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 2008  novembre 19 Mercoledì calendario

Fondi e gestori. Ma soprattutto tante assicurazioni. Gli ordini d’acquisto sono arrivati dagli investitori istituzionali di tutta Europa, Italia e Francia in testa, per un totale di quasi 3 miliardi di euro: il doppio dell’offerta

Fondi e gestori. Ma soprattutto tante assicurazioni. Gli ordini d’acquisto sono arrivati dagli investitori istituzionali di tutta Europa, Italia e Francia in testa, per un totale di quasi 3 miliardi di euro: il doppio dell’offerta. Così l’Eni ha potuto rompere il ghiaccio: ieri ha lanciato il primo prestito obbligazionario denominato in euro dell’intero 2008 di una società italiana. Ha raccolto 1,25 miliardi, con un’operazione che – di questi tempi – ha il sapore di un evento. E questa è certamente una buona notizia per il mercato italiano, rimasto a secco per tutto l’anno. Ma fino a un certo punto. Anche un colosso come l’Eni ha infatti dovuto infiocchettare il suo bond con un rendimento molto elevato per attirare gli investitori: 5,947% lordo, pari al 2,2% in più del tasso swap e al 3,125% oltre i titoli di Stato tedeschi. Interessi che, un anno e mezzo fa, pagavano società come la Ford e non certo aziende petrolifere come l’Eni. Segno che il mondo è cambiato. Segno che il credito, per chi può ottenerlo, ora si paga a peso d’oro. E che per tante altre società, che non hanno la fortuna di chiamarsi Eni, il 2009 sarà molto duro. In poche parole: segno di crisi e di razionamento del credito. Se si osserva il mercato obbligazionario europeo, si scopre che la situazione è veramente tesa. Anche nel 2007, anno in cui già era scoppiata la crisi dei mutui subprime, in Italia – secondo i calcoli di Fitch – erano stati emessi 10 prestiti obbligazionari da società industriali per un importo di circa 15 miliardi di euro. Pochi rispetto ai 21 bond per 26 miliardi lanciati nel 2001, ma comunque in linea con il 2006 e il 2005. Anche in Europa nel 2007 non si era registrata una particolare "stretta" per le imprese: le emissioni obbligazionarie – secondo i dati di Société Générale – avevano raggiunto i 123 miliardi, in linea con i 126 del 2006. Ma è nel 2008 che il mercato si è seccato, soprattutto in Italia. Solo Telecom Italia è riuscita ad emettere un bond, ma è dovuta andare negli Stati Uniti. Sul mercato in euro nessuno aveva raccolto fondi. Fino all’operazione di ieri dell’Eni. Questo è senza dubbio un problema per le imprese, perché l’anno prossimo avranno comunque da rimborsare i tanti finanziamenti bancari e prestiti obbligazionari ottenuti negli anni del credito facile. Unendo le stime di Thomson Reuters e quelle di Standard & Poor’s, in Europa nel 2009 ci saranno circa 250 miliardi di dollari di finanziamenti bancari e 173 miliardi di dollari di bond da rimborsare. E, secondo Fitch, le aziende italiane dovranno onorare 5,2 miliardi di euro solo di bond (escludendo i prestiti bancari). «L’accesso al credito sarà sempre più difficile – osserva Francesca Fraulo, analista di Fitch’. Le aziende con un elevato rating pagheranno alti tassi d’interesse, mentre per le aziende più piccole e con un inferiore merito di credito sarà un anno duro. Se non ci sarà un intervento preciso del Governo, molte aziende rischieranno seriamente il fallimento». L’emissione dell’Eni – curata da Bnp Paribas, Deutsche Bank, Banca Imi e JP Morgan – si inserisce in questo contesto. Basti pensare che il gruppo può vantare rating superiori a quelli della Repubblica italiana, pari a "Aa2" da Moody’s e "AA-" da S&P e Fitch, e che un anno fa aveva emesso un bond decennale pagando solo 30centesimi sopra il tasso swap. Ora, invece, per raccogliere fondi a 5 anni ha dovuto pagare 220 centesimi sopra lo stesso tasso swap: sette volte tanto. Più di quello che nel maggio 2007, cioè prima della crisi dei subprime, pagava General Motors (137 punti base sopra lo swap nonostante i rating speculativi allora di"Ba1/BB+") e poco meno di quello che era costretta ad offrire la Ford (287 punti base nonostante i rating allora ancora più bassi "B1/B+"). Il motivo è che gli investitori, con la crisi finanziaria, hanno paura ad investire. Comprano solo titoli di Stato, meglio se a breve scadenza. Se si sbilanciano un po’ di più, non vanno oltre le obbligazioni sicure come quelle delle utility o delle società petrolifere, chiedendo però tassi d’interesse degni di bond high yield. Ovviamente, infatti, l’Eni non è un caso isolato. Nell’ultima settimana sono state emesse in Europa altre obbligazioni (quasi sempre da utility o società petrolifere, quindi da aziende molto solide) e tutte hanno pagato rendimenti impensabili solo un anno fa: Edf offre 220 punti base sopra lo swap per un bond a 4 anni, Air Liquide 265 per finanziarsi a quattro anni, Iberdrola 290 per raccogliere a tre anni e Rwe215 per indebitarsi a cinque anni. vero che il tasso swap è sceso molto per effetto dei tagli da parte della Bce e questo ha compensato l’aumento degli spread, ma la consolazione è magra: ormai l’unico modo per convincere gli investitori a comprare anche obbligazioni iper-sicure è dare rendimenti molto elevati. E chi non è un’utility o una società petrolifera? Il problema è tutto qui. m.longo@ilsole24ore.