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 2008  novembre 13 Giovedì calendario

Si seppe della sciagura la mattina del 4 maggio: era stato verso le 8 e mezza, un’esplosione al Camorra, un’esplosione spaventosa: avevano visto uma gran nube di fumo uscire dalla bocca del pozzo, un boato sordo

Si seppe della sciagura la mattina del 4 maggio: era stato verso le 8 e mezza, un’esplosione al Camorra, un’esplosione spaventosa: avevano visto uma gran nube di fumo uscire dalla bocca del pozzo, un boato sordo. Baseggio, il caposervizio, era ferito anche lui, alla testa, lo avevano portato a Massa, all’ospedale. Eppure Baseggio non era ancora entrato sotto, alle otto e mezza. L’esplosione l’aveva colpito lassù, all’esterno. Certo la prima "gita" del Camorra era sparita, tutti morti, cinquanta o sessanta, chissà. Le notizie che si diffusero subito erano vaghe e contraddittorie, ma la gravità del disastro fu subito chiara a tutti: le esperienze precedenti avevano insegnato che una esplosione in una miniera di lignite, e in particolare in una miniera "difficile" come quella di Ribolla, assume sempre proporzioni tragiche. Insieme alle notizie, a Ribolla, ma anche nelle altre miniere e in genere in tutta la Maremma, si diffondeva la sensazione del panico, aggravata dalla impossibilità di vedere chiaramente come stessero le cose, cosa potesse farsi per sapere, per soccorrere, in qualche misura per rimediare. Fra l’altro l’esplosione trovava tutti impreparati. La direzione della miniera non fu in grado di portare subito i primi soccorsi e neppure di indicare che cosa si dovesse fare; fino alle dieci non dette nemmeno l’ordine di abbandonare il lavoro negli altri cantieri. Fu organizzata qualche squadra di soccorso, più che altro per lo slancio appassionato ma sprovveduto degli operai. Un gruppo che scese immediatamente nel pozzo Baffo dovette uscirne fuori sotto la minaccia di un nuovo immediato pericolo: i soccorritori risalivano pallidi, semisvenuti, con sul volto i primi segni di intossicazione da ossido di carbonio. Non c’erano autorespiratori a sufficienza, e si dovette attendere il primo pomeriggio, che arrivassero quelli dei vigili del fuoco. Fu allora che le prime squadre cominciarono a organizzarsi con un certo metodo: anche dalle miniere vicine scesero gruppi di minatori, chiedendo essi stessi di partecipare al soccorso, ma non c’era lavoro per tutti. La direzione della miniera non sapeva evidentemente dove mettere le mani: l’altoparlante della lampisteria ordinava alle squadre di dirigersi al Raffo, poi l’opera di soccorso si spostò verso il Camorra, che è il punto più a sud dell’intero bacino lignitifero: proprio al Camorra, alla bocca del pozzo 9-bis, era stato ferito uno dei capi servizio, l’ingegnier Roberto Baseggio. Stava ispezionando l’impianto di aeraggio, quando l’onda esploliva proiettò in avanti una balaustra metallica che lo colpi alla testa. Non era facile precisare subito il numero e il nome delle vittime. La direzione sostenne che l’elenco degli operai del primo turno di lavoro al pozzo Camorra era irreperibile; si trovava nelle tasche del sorvegliante Gino Fenoli, morto anche lui nella sciagura e carbonizzato dallo scoppio. Era una notizia falsa, scioccamente pietosa, con la quale si tentava di illudere per qualche tempo ancora le famiglie degli operai: infatti non era credibile che dell’elenco esistesse una sola copia, e l’elenco stesso, del resto, doveva pur essere stato compilato dalla direzione sulla base dei registri di lavoro. Anche il soccorso medico si rivelò a prima vista decisamente inadeguato: le ambulanze, di ogni tipo e di ogni provenienza, si dovettero raccogliere da varie zone della provincia di Grosseto e di quella di Siena. I primi morti uscirono dal Camorra verso le cinque del pomeriggio; l’opera di soccorso, o meglio, di raccolta delle vittime, continuò per tutta la notte. Il giorno dopo si era accertata la morte di altri operai, ma due salme restavano non identificale. All’ospedale di Massa Marittima, oltre all’ingegner Baseggio, furono ricoverati alcuni operai feriti; e feriti meno gravi, o intossicati, poterono curarsi nelle loro case. Lo scarto notevole tra il numero dei morti e quello dei feriti era prevedibile: le esplosioni in miniera uccidono, l’esperienza insegnava anche questo. Il lavoro di recupero delle salme si faceva via via più difficile per le frane numerose e per il pericolo incombente di possibili nuove esplosioni, e sempre più pietose erano le condizioni dei cadaveri, spaventosamente enfiati, bruciati dallo scoppio, qualcuno già decomposto. La mattina del 7, mentre là sotto continuavano a cercare, si fecero i funerali: 37 bare; due altri cadaveri attendevano ancora di essere identificati e composti. Si precisava il numero delle vittime: 42. Tre erano ancora sepolti da una frana. La quarantatreesima vittima fu uno degl’intossicati: quando già pareva rimesso in salute, all’improvviso gli amici lo videro accasciarsi al suolo, ed era morto. Tutte le salme, man mano che venivano estratte dal fondo della miniera, venivano portate in un’autorimessa, dove il medico e alcuni infermieri provvedevano a comporle nelle bare, alla presenza del Procuratore della Repubblica, dottor Milanese, che sovrintendeva all’identificazione e ai primi accertamenti di carattere giudiziario. Le bare erano poi allineate nella sala del cinema di Ribolla, trasformata in camera ardente: sopra ogni bara c’era l’elmetto di materia plastica che i minatori usano nei lavori del sottosuolo; in fondo alla sala, proprio sotto lo schermo, molte bandiere rosse fiancheggiavano una specie di altare: all’ingresso del cinema prestavano servizio di ordine squadre di operai, che avevano sostituito gli agenti di pubblica sicurezza. Ai funerali parteciparono non meno di cinquantamila persone: pronunciò il discorso funebre il sindaco di Roccastrada, poi parlarono Giuseppe Di Vittorio, l’onorevole Pastore e il dottor Viglianesi. Prese brevemente la parola anche il ministro del lavoro, onorevole Vigorelli. Alle famiglie delle vittime il Ministero del Lavoro concesse "contribuzioni straordinarie e immediate varianti dalle 60 alle 100 mila lire" oltre al normale trattamento previdenziale previsto dall’INAIL, dal canto suo la società Montecatini offrì "assegni assistenziali di 500 mila lire e di un milione, secondo i relativi carichi famigliali". Inoltre la Società fece noto alla stampa che, ’’secondo una antica traduzione", avrebbe assunto l’onere delle spese per i funerali. Invece fu lo Stato che provvide a questa bisogna. (siamo a Ribolla nella Maremma toscana nel maggio 1954; il passo è tratto da I minatori della Maremma, ExCogita, 2004).