Giacomo Galeazzi, La Stampa 22/11/2008, 22 novembre 2008
Presto nuove modifiche alla messa», annuncia all’Osservatore Romano il cardinale Francis Arinze, prefetto della congregazione per il Culto divino
Presto nuove modifiche alla messa», annuncia all’Osservatore Romano il cardinale Francis Arinze, prefetto della congregazione per il Culto divino. Per «creare un clima più raccolto attorno alla Comunione», Benedetto XVI vuole «una diversa collocazione del segno della pace», oggi «male interpretato come una stretta di mano» tra amici. Inoltre, il Papa intende riformare il famoso «Ite missa est», tradotto in italiano in «la messa è finita, andate in pace». Al posto della formula tradizionale, il sacerdote dirà: «Andate ad annunciare il Vangelo di Dio». Il gesto di «scambiarsi la pace» sarà spostato, anticipandolo dalla fine a metà del rito, cioè dalla fase della comunione al momento dell’offertorio. In pratica, i fedeli stringeranno la mano ai loro vicini di posto nel momento liturgico in cui si raccolgono le offerte come segno della partecipazione e si portano all’altare i doni, assieme al pane e al vino da trasformare nel corpo e nel sangue di Cristo. Il gesto di pace verrà scambiato, infatti, al termine della raccolta delle offerte e dopo che il sacerdote avrà recitato la preghiera di «ringraziamento» per il pane e il vino portati in processione all’altare e non più nella fase della comunione come avviene adesso, cioè mentre il sacerdote e i fedeli si preparano a ricevere l’ostia. Oggi «non si comprende in pieno» il significato del gesto dello scambio della pace, introdotto dalla riforma liturgica post-conciliare. «Si pensa - precisa Arinze - che sia un’occasione per stringere la mano agli amici. Invece è un modo per dire a chi ci sta vicino che la pace è di Cristo». Per creare «un clima più raccolto mentre ci si prepara alla Comunione si è pensato di trasferire lo scambio della pace all’offertorio». Il Papa «per decidere ha chiesto una consultazione di tutto l’episcopato». In arrivo altre modifiche liturgiche scaturite dal Sinodo dei vescovi sull’Eucaristia celebrato nel 2005. In particolare invece dell’«Andate, la messa è finita», il sacerdote «avrà a disposizione altre formule, per far capire meglio ai fedeli che tutti noi siamo chiamati a vivere ciò che abbiamo celebrato, in modo più dinamico, più missionario». Benedetto XVI, «dopo una serie di studi da noi condotti», puntualizza Arinze, ha approvato tre alternative: «Andate ad annunciare il Vangelo di Dio», «Andate in pace». Quanto alle strette ratzingeriane su certi aspetti troppo innovativi della liturgia post-conciliare, Arinze sottolinea che «molti abusi non sono dovuti a cattiva volontà, ma all’ignoranza». «Qualcuno non sa», per esempio, che le parole e i gesti hanno radici nella tradizione della Chiesa. Così crede di essere più originale e creativo cambiando quei testi e quei gesti. Di fronte a questi abusi, bisogna riaffermare che la liturgia è sacra, in quanto è la preghiera pubblica della Chiesa». Cambiamenti «significativi», evidenzia l’arcivescovo canonista Velasio De Paolis, «nella direzione di recuperare in pieno il carattere non arbitrario del culto». Joseph Ratzinger teme che la liturgia cattolica sia minacciata dalla «creatività» di quei sacerdoti e di quelle comunità che la modificano a loro piacimento e arrivano a trasformare la messa in uno show. Con i suoi interventi sul rito, osserva De Paolis, «Benedetto XVI ribadisce che la liturgia è l’elemento centrale della Chiesa e della vita cristiana, in grado di avvicinare i fedeli all’unità con Dio e la sua opera universale». Già da prefetto dell’ex Sant’Uffizio, Joseph Ratzinger si era detto convinto che «la crisi ecclesiale in cui oggi ci troviamo dipende in gran parte dal crollo della liturgia, che talvolta viene addirittura concepita come se in essa non importasse più se Dio c’è e se ci parla e ci ascolta». Insomma c’è il rischio di non sapere più in che cosa consista la liturgia: «Il sacerdote diventa il punto di riferimento di tutta la celebrazione. Tutto termina su di lui. lui che bisogna guardare, è alla sua azione che si prende parte, è a lui che si risponde, è la sua creatività a sostenere l’insieme della celebrazione. L’attenzione è sempre meno rivolta a Dio». Ora, dal Soglio di Pietro, corregge la rotta. Stampa Articolo