La Stampa 22/11/2008, 22 novembre 2008
Adesso si teme l’effetto domino. I continui attacchi dei pirati nel Golfo di Aden, dicono gli esperti, faranno schizzare alle stelle il prezzo delle merci
Adesso si teme l’effetto domino. I continui attacchi dei pirati nel Golfo di Aden, dicono gli esperti, faranno schizzare alle stelle il prezzo delle merci. «Se aumenterà il numero degli abbordaggi e delle richieste di riscatto, cresceranno anche le tariffe assicurative. Gli armatori dovranno aumentare i costi alle società che noleggiano le navi, i quali a loro volta dovranno aumentare i costi sui consumatori». E’ inevitabile, del resto. Il Golfo di Aden è un’area strategica per i traffici marittimi: qui, tra Yemen e Somalia, c’è il canale di accesso a Suez (e di uscita, naturalmente), la principale via di collegamento tra l’Oceano Indiano e il Mediterraneo, vale a dire tra Est e Ovest, tra l’Asia e l’Europa. Fenomeni di pirateria ci sono sempre stati in queste acque, ma non avevano mai raggiunto un livello così alto come quello degli ultimi nove mesi: il centro anti-pirati dell’International Maritime Bureau ha registrato 107 attacchi, di cui 57 falliti e 27 sequestri di navi. Oltre al numero degli assalti, però, preoccupa soprattutto il loro salto di qualità: nel mirino della Nuova Tortuga non ci sono più piccole barche da pesca, o velieri di lusso come il francese «Le Ponant», catturato il 4 aprile scorso, ma le grandi super-petroliere come la «Sirius Star», sequestrata sabato scorso, un gigante di 330 metri che trasporta 2 milioni di barili di greggio per un valore di 100 milioni di dollari. I grandi armatori sono dunque più che preoccupati. A ragione. I costi dei trasporti (il 90% delle merci viaggia via mare), e i loro margini - già messi alla prova dalla crisi, che ha fatto crollare i noli - non posso più sopportare la voce di spesa «pirati». Da qui, l’appello all’Onu, alla Nato, all’Ue e ai governi perché incrementino gli interventi militari navali, con flotte armate che scortino le unità mercantili, magari riunite in grandi convogli. Lo ha chiesto anche il presidente degli armatori italiani, Nicola Coccia: «Sono a rischio circa 600 transiti l’anno di navi col tricolore a poppa. E’ oltremodo urgente assicurare la presenza di forze navali militari italiane nella zona». Zona che, per le assicurazioni, è ormai diventata «di guerra». Il che comporta, oltre al rischio diretto del pericolo, quello indiretto del lievitare dei costi d’impresa. Intanto, quelli assicurativi, delle polizze per la nave, per l’equipaggio, per il carico. In questi giorni, i prezzi sono praticamente decuplicati. Secondo la società di consulenze Bgm Risk, oggi una nave paga alle assicurazioni 20 mila dollari in più per transitare nel Golfo di Aden. Considerando che ci sono circa 20 mila passaggi l’anno, fa un surplus di 400 milioni di dollari in dodici mesi. Poi, c’è l’equipaggio: «Bisogna raddoppiare la paga» dice Roberto Giorgi, neopresidente di Intermanager, l’associazione internazionale che riunisce i gestori di unità commerciali. Gli stipendi di bordo coprono circa il 60% dei costi nave, un comandante di una superpetroliera come la «Sirius Star» riceve almeno 14 mila dollari al mese: si fa presto a sballare i conti. Senza considerare l’eventualità di un incontro con i pirati. Nel caso di blocco o sequestro della nave da parte dei pirati seguirebbero ricadute a pioggia in fatti di extra-spese su tutti gli operatori che vantano interessi su quel viaggio. Un’ipotesi che aprirebbe anche il discorso - salato - delle cause legali. La via d’uscita? Le compagnie di navigazione fuggono. Ovvero, spostano la rotta dei propri traffici: da quella tradizionale di Suez a quella alternativa che doppia il Capo di Buona Speranza. L’antica rotta che fu aperta da Vasco de Gama, insomma. Lo hanno già deciso la Ap Moller Maersk, la prima compagnia del mondo, leader nei container, e la norvegese Odfjell, per le sue 90 navi cisterna. E sta considerando l’opportunità anche Frontline Shipping, il più grande gruppo del mondo per il trasporto di greggio. Anche così, però, alla fine ci andrà a rimettere il consumatore. E sì, perché la circumnavigazione dell’Africa allunga la durata del viaggio di due-tre settimane, a seconda della velocità, e ciò comporta un maggiore consumo di carburante. Una petroliera media brucia 50 mila tonnellate di bunker al giorno, al costo di 500-700 dollari a tonnellata. Dai 25 a 35 mila dollari, dunque. Moltiplicato per venti giorni in più di viaggio fanno 500-700 mila dollari... Ma non sono soltanto gli armatori a guardare con apprensione all’escalation degli attacchi pirateschi. L’altroieri al Cairo si sono riuniti i responsabili dei paesi arabi affacciati sul Mar Rosso per studiare una strategia di lotta comune. «Tutte le possibilità» saranno messe sul tavolo, ha fatto sapere il governo egiziano. In realtà, dall’incontro non sono emerse misure concrete. Quel che è certo che in gioco ci sono per l’Egitto 5,2 miliardi di dollari: è il fatturato 2007 del Canale di Suez, terza risorsa di valuta estera del paese dopo il turismo e le rimesse degli emigranti.