La Stampa 22/11/2008, 22 novembre 2008
I pirati somali fanno retromarcia e liberano una delle quindici navi ancora nelle loro mani: è una unità greca carica di sostanze chimiche che era stata sequestrata alla fine di settembre
I pirati somali fanno retromarcia e liberano una delle quindici navi ancora nelle loro mani: è una unità greca carica di sostanze chimiche che era stata sequestrata alla fine di settembre. Non è certo, però, la presa più pregiata. A Harardhere, lungo la costa del Puntland, è ancora sotto sequestro la «Sirius Star», la superpretroliera catturata dai nuovi filibustieri sabato scorso, con un carico che vale 100 milioni di dollari. Qui, si starebbero concentrando decine di miliziani pronti a difendere il prezioso bottino da interventi militari per la liberazione della nave e dell’equipaggio. Sarebbe arrivata anche la milizia di integralista di Shebab, che secondo alcuni osservatori intenderebbe prendersi una fetta del riscatto. Un riscatto che sembra tingersi di giallo: i pirati avrebbero chiesto 25 milioni di dollari, ma non ci sono conferme da parte della compagnia armatrice cui essa appartiene, la Vela International Marine di Dubai, sussidiaria del colosso petrolifero saudita Aramco di Dhahran. Intanto, si moltiplicano le prese di posizione contro un’eventuale negoziazione con i banditi per la liberazione della superpetroliera. Il ministro degli Esteri del Kenya, Moses Wetangula, dopo aver affermato che ai pirati somali sarebbero stati pagati in riscatti 150 milioni di dollari dall’inizio del 2008, ha lanciato un appello agli armatori affinché non paghino più. Anche l’Arabia Saudita è contraria a trattare con i nuovi bucanieri, che ha definito emissari di «un demone che bisogna sradicare al pari del terrorismo». Per contro, un predone che si fa portavoce dei sequestratori della «Sirius Star» ha detto di essere pronto a fare uno sconto sui 25 milioni per «l’amore che riserviamo all’Arabia Saudita, che è un paese musulmano». Un «no» anche dal ministro degli Esteri britannico David Miliband: la Gran Bretagna non intende pagare il riscatto per i due cittadini britannici tenuti in ostaggio perché ciò incoraggerebbe gli abbordaggi. La confusione sale: da un lato ci sono miliziani islamici che dicono che le navi che appartengono a paesi musulmani «non dovrebbero essere prese di mira», c’è parte della stampa araba che guarda con sospetto l’escalation della pirateria, dietro la quale vede addirittura «le mani del Mossad», per internazionalizzare le acque del Mar Rosso, principale via di passaggio del petrolio. Nel frattempo, si cerca anche di prendere le contromisure per contrastare il fenomeno e rendere più sicuro il Golfo di Aden. L’India ha ricevuto dall’Onu l’autorizzazione formale all’inseguimento ravvicinato delle unità pirata in acque somale, i russi sono pronti ad inviare altre navi da guerra, gli Usa hanno fatto circolare al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite (che ha fatto scattare l’embargo di armi per il Corno d’Africa) un progetto di risoluzione che mira a rafforzare l’intervento internazionale contro i pirati. E la task-force navale Ue è pronta a salpare l’8 dicembre. Senza l’Italia, finora./