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 2008  novembre 22 Sabato calendario

Negli anni in cui Riccardo Villari stringeva relazione con una Oliveri del Castillo, bella dama d’alto lignaggio, come dimostra il cognome, la sua ex moglie si accompagnava con un certo comandante Casiero, e la sera i due attraversavano la via Caracciolo, capelli al vento, su una Mercedes Pagoda

Negli anni in cui Riccardo Villari stringeva relazione con una Oliveri del Castillo, bella dama d’alto lignaggio, come dimostra il cognome, la sua ex moglie si accompagnava con un certo comandante Casiero, e la sera i due attraversavano la via Caracciolo, capelli al vento, su una Mercedes Pagoda. Forse questo dice già più degli incasellamenti quotidiani ben riassunti dal Foglio: «E’ un perfetto dalemiano, mariniano, franceschiniano, rutelliano, mastelliano e perfino demitiano». Dimenticavano berlusconiano, ma il presidente della Commissione di Vigilanza è ben altra cosa. E certe suggestioni - come il fatto che sia nato il 15 marzo del 1956, duemillesimo anniversario dell’assassinio di Giulio Cesare per mano traditrice del figlio - servono soltanto alla retroscenistica e a convalidare il secondo cognome, Riccardo Villari Iscariota, battezzato in alcuni blog. Ora di lui dicono che sia bravo ma pigro o, peggio, amante delle belle donne, del buon cibo e del mare. Dopodiché molti ambirebbero a un simile ritratto, specialmente perché Villari non usurpa i titoli, ma li ha ereditati e coltivati: ricco di famiglia, dimora in una silenziosa palazzina di Posillipo dove agli amici mostra i numerosi terrazzi da cui si sentono il rumore e l’odore del mare. Un vecchio sodale, l’ex direttore scientifico dell’Istituto Pascale, spiega che «ha sempre avuto belle donne, ma una per volta: e questo gli fa onore». E mentre uno dei maestri, Clemente Mastella, batteva il territorio a caccia di voti nelle domeniche di sole, lui prendeva la barca e se ne andava a Ischia, a bordo piscina dell’albergo Regina Isabella, dove si va per raccontare di esserci stati, e si sorbiva un cocktail alla frutta leggendo un saggio di storia. Poi l’importante è avere i voti, e lui ne ha sempre avuti. Tanti, senza bisogno di scondinzolare nelle piazze dell’entroterra. In caso di necessità, c’era da informarsi se soggiornava a Ischia o a Capri, e nel secondo caso si chiedeva appuntamento all’Hotel La Palma, dove Villari riceveva amici e postulanti. Ora, che si è fatto casa anche lì, si può sperare in un giro in barca, soprattutto perché l’estate scorsa andò a vuoto - durante un’escursione - il tentativo di Antonio Polito di mandarla a fuoco: la pipa più temuta del Golfo di Napoli provocò un incendio a un divanetto che Villari domò con nobile nonchalance. Ma siccome adesso lo dipingono come un cafone - cioè uno calato dalla montagna con la fune - lui soffre e distribuisce copiosi dossier tesi a dimostrare le alte qualifiche per la carica che tutti vogliono sottrargli. «Dimostrerò di essere il miglior presidente di Vigilanza cui si possa ambire; ho quattro anni e mezzo di tempo, poi mi rieleggeranno». Un programma a lungo termine che lascerà spazio alle passioni. Insomma, gli amici di sempre lo avranno ancora ospite nelle serate di luna chiara, nelle feste casalinghe che preferisce a quelle pubbliche. Certo, ci fu il tempo in cui - dopo l’assaggio di vita con la sbocciante Barbara D’Urso - ancheggiava nei night della Napoli ricca, allo Chez Moi, dove in un imprecisato anno fra gli Ottanta e i Novanta guadagnò il conteso Oscar della Mondanità. Merito suo e della ragazza che gli sarebbe diventata moglie, e madre di Vittorio, unico figlio di Villari, oggi ventiseienne, laureato in economia e commercio e in cerca d’impiego. Come? Un cafone io? Non si capacita. Da medico, illustra le sue scoperte scientifiche - per via delle quali la vaccinazione antiepatite B è diventata obbligatoria - e da curioso del mondo dettaglia sul teatro di Eduardo mandato a memoria. E poi le librerie, colme di romanzi o lavori di Max Gallo e Joachim Fest. I film di Totò e Verdone, le canzoni di Battisti e De Andrè. Ah le canzoni. «Canticchia», dice Guido Lembo, titolare del leggendario «Anema e core», il locale di Capri che conobbe le danze sui tavoli di Emma Marcegaglia, e le sue gambe, e poi Naomi Campbell e Luca Cordero di Montezemolo, e pure Giovanni Maria Flick perduto in una macarena. Villari non si tiene: lì impugna il microfono e cede al karaoke, persuaso di possedere un timbro inconfondibile. «Quando mio marito divenne primario, gli cantò Volare», ricorda la raffinata gioielliera napoletana Carla Della Corte. Come possa conciliare l’attivismo ludico con la carriera, e gli autoribaltoni, da Enzo Scotti a Rocco Buttiglione, da Ciriaco De Mita a Francesco Rutelli, è spiegato dalla collezione di cornetti e santini - il sacro e il profano - e dallo scientifico ricorso all’arcano elevato, all’esoterismo, e alla toccatina popolana, il caffè portafortuna. E’ perfino riuscito a convincere i collaboratori di essere elegante con le giacche a quadri abbinate a lampi di verde oliva o marrone mogano. Ora, che gli tocca di stare nella casa romana di piazza di Spagna, e cenare da Fortunato al Pantheon, e rimpiangere le gozzoviglie fra Nerano e Capri, si sente un po’ come San Gennaro, che il sangue gli si scioglie solo una volta l’anno. La partita è dura, e lo dice l’adorata «Carmela», perché Carmela Carme’, ”stu vico niro nun fernesce maje.