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 2008  novembre 22 Sabato calendario

Scontro frontale con il Partito democratico, ma apertura ai sindacati, alle fasce deboli della società, agli operai in pericolo di licenziamento

Scontro frontale con il Partito democratico, ma apertura ai sindacati, alle fasce deboli della società, agli operai in pericolo di licenziamento. E se il governo Berlusconi si stesse preparando a gestire i provvedimenti anti-crisi in modo da rilanciare il suo consenso popolare, isolando ulteriormente - magari dalla sua stessa base - il Pd già in preda agli spasmi d’una violenta crisi interna? E’ una domanda che offre forse una lettura troppo esile di fronte alla tensione in cui ogni giorno la nostra politica sembra affondare. Ma che un «progetto intelligente» sia in corso, cioè che una trama logica emerga dall’apparente caos di questi giorni, val la pena segnalarlo. Nelle ultime settimane, a dispetto delle profferte continue di dialogo, il premier Berlusconi si è concentrato sul tentativo di spezzare la forza del centrosinistra. A questo scopo erano mirati i due più rilevanti episodi recenti: la convocazione separata di Confindustria, Cisl e Uil a Palazzo Grazioli e l’elezione di un senatore del Pd, Villari, a presidente della Commissione di vigilanza Rai, con i voti del Pdl. Le esplosioni di quel poco di unità interna al fronte sindacale e di quel poco di accordo interno al Partito democratico provocate da queste mosse, sono stati indubbi successi per il governo, che così riconferma, nonostante un certo calo di popolarità e alcune crepe interne, la sua capacità di unico soggetto politico effettivo nel Paese. Certo si tratta di successi soprattutto «gestionali», cioè dimostrazioni di forza nei confronti dello schieramento avversario. Ma, se la vera messa alla prova per il governo è la crisi economica in arrivo, forse queste dimostrazioni di forza non sono estranee alla linea scelta da Berlusconi per fronteggiare i prossimi passaggi. Nasce qui il sospetto - o la possibilità - che l’indebolimento del centrosinistra sia in realtà funzionale proprio al progetto che il governo ha sul pacchetto anti-crisi che dovrebbe approvare la prossima settimana. L’allerta su questo intreccio lo ha fatto suonare ieri un’intervista del ministro del Welfare Sacconi, nemico di ogni compiacenza per le cosiddette istanze sociali. Sacconi, proprio lui, ha annunciato che l’esecutivo si prepara a incontrare lunedì sindacati e imprese sulle misure anti-recessione, che il massimo sforzo verrà fatto per le categorie più deboli - quelle cioè che perdendo il lavoro non hanno ammortizzatori sociali -, che 600 milioni saranno spesi per la cassa integrazione e la mobilità in deroga. Soprattutto, ha fatto sapere che il suo dicastero, insieme con le Regioni, sorveglierà su licenziamenti o sospensioni di lavoro non giustificati. In definitiva, Sacconi propone che la gestione della crisi sia fatta con una triangolazione fra Stato, Regioni e istanze sociali: è una formula che può tranquillamente essere descritta come il lancio di una nuova concertazione che va direttamente ai cittadini, attraverso alcune istituzioni come gli organi locali e varie organizzazioni del lavoro. Il controllo della mobilità, del tipo di licenziamenti, non possono infatti che essere il prodotto finale di una collaborazione con il territorio, a partire dalla Regione per finire alle singole fabbriche. Solo una concertazione molto forte consente di gestire questa crisi economica e gli scarsi interventi possibili per alleviarne le conseguenze. Ma il modello proposto è nuovo perché visibilmente esce dal confronto politico nazionale e va direttamente al Paese. Nel passaggio vengono infatti escluse, o aggirate, l’opposizione e la Cgil che è dentro il confronto ma nella condizione di non poter essere determinante dopo gli ultimi scontri. Lettura troppo sottile? Può essere, se non fosse per due altre prese di posizione che segnano gli avvenimenti recenti. Se il governo avesse voluto coinvolgere l’opposizione nella gestione della crisi, avrebbe accolto l’offerta messa sul piatto da Veltroni: il Pd aveva chiesto nei giorni scorsi un summit a Palazzo Chigi fra governo, opposizione e parti sociali. Ma il summit non è stato concesso. L’esclusione non è casuale. D’altra parte, Epifani sembra aver capito che l’aria è cambiata, se è vero che, dopo tante accuse al governo, proprio in una tv di cui è proprietario il presidente del Consiglio, si è dichiarato disponibile a riprendere un discorso sulla crisi sociale, mettendo in campo anche la possibilità di ridiscutere lo sciopero generale. Da buon sindacalista sta forse rimuginando - a differenza dei politici - sulla possibilità che un’esclusione dalle decisioni sia peggio della cancellazione di una protesta? C’è infine da segnalare una dichiarazione attribuita al nostro premier a Washington per il G20 la scorsa settimana. Le parole sono ripetute in varie versioni, perché non ufficiali. Ma il senso è più o meno lo stesso: se devo sopportare il peso della crisi, allora non voglio nemmeno dividerne il minimo merito con nessuno; non faremo nulla con il Pd. Naturalmente, tra il piano e la sua attuazione ci sono vari ostacoli: il reperimento del denaro o i conflitti di competenze nello stesso governo. Eppure non va sottovalutata l’intelligenza tattica del premier. A mettersi nei panni di Silvio Berlusconi, un progetto del genere appare sicuramente interessante.