Enrico Franceschini, la Repubblica 22/11/2008, 22 novembre 2008
dal nostro corrispondente Come promozione natalizia, sembrerebbe imbattibile. Una catena di 840 grandi magazzini in vendita a una sterlina
dal nostro corrispondente Come promozione natalizia, sembrerebbe imbattibile. Una catena di 840 grandi magazzini in vendita a una sterlina. Proprio così, non è un errore di stampa e nemmeno il prezzo per ogni singola azione della società: è il totale, pari a un euro e 20 centesimi, per comprarseli tutti e 840. E non sono grandi magazzini qualsiasi, bensì un nome, anzi un «brand» come si dice nel gergo del marketing, famoso e riconoscibile: Woolworths. Fondati alle fine dell´Ottocento da un self-made-man americano negli Stati Uniti, sbarcati poco meno di un secolo fa in Gran Bretagna, dove sono stati a lungo il simbolo della «qualità a basso prezzo», il posto dove il popolo andava a fare la spesa per quasi tutto, dai dolciumi all´abbigliamento, dai giocattoli alla cancelleria, dagli articoli per la casa alla musica. Ma adesso l´impero della Woolworths trema. Stretta creditizia e recessione lo hanno portato a un passo dalla bancarotta. Così il consiglio d´amministrazione, disperatamente alla ricerca di un salvatore, ha offerto l´intera azienda a un possibile acquirente per la somma, chiaramente simbolica, di una sterlina. Naturalmente c´è il trucco: per poco che Woolworths possa oggi valere, soltanto il reparto caramelle e cioccolatini di uno dei suoi supermarket vale cento o mille volte più di una sterlina. Per cui, prima che qualche lettore corra a svuotare il salvadanaio dei figli, per mettere insieme un po´ più di una sterlina e fare un´offerta più alta, conviene pensarci due volte: il nuovo proprietario, infatti, si accollerebbe anche i massicci debiti della società, stimati in 286 milioni di sterline alla fine dello scorso settembre, vale a dire circa 330 milioni di euro, più altri 58 milioni di sterline (70 milioni di euro) del deficit del fondo pensioni della compagnia. Nemmeno i muri degli 840 grandi magazzini sarebbero sufficienti a bilanciare un simile buco: del resto Woolworths possiede gli edifici, ma non il «freehold», ovvero non la terra che sta loro sotto, per cui in base alle leggi inglesi non potrebbe ricavarci granchè se provasse a venderne qualcuno o anche tutti. Anche il potere del marchio, oltretutto, si è alquanto usurato col passare dei decenni: una volta Woolworths era il principale rivenditore di dischi del Regno Unito, campo in cui è stato surclassato da catene di negozi specializzati; e la sua immagine di «qualità a basso prezzo» ha finito per mettere l´accento più sul basso prezzo che sulla qualità, dando una patina di ristrettezze da tempo di guerra a chi continua a fare shopping nei suoi grandi magazzini. Quando aprì il primo, nel 1909, a Liverpool, Woolworths rappresentava la modernità del commercio all´americana. Il braccio britannico dell´azienda crebbe fino a superare quello Usa, diventando alla fine una società separata. E la nipote del fondatore, Barbara Hutton, si trasferì a Londra, ebbe sette mariti, inclusi Cary Grant, un conte e due principi, e visse in una magnifica villa a Regent´s Park, oggi diventata la residenza dell´ambasciatore degli Stati Uniti. Ma l´ereditiera morì nel 1979 avendo sperperato la sua fortuna personale e nei venticinque anni successivi anche all´azienda non è rimasto un soldo. Se la Hilco, la società a cui la Woolworths si è offerta in toto per una sterlina, rifiuterà di acquistarla, e se non salta fuori all´ultimo momento un altro compratore, il fallimento potrebbe essere dietro l´angolo. Se Woolworths scompare, il resto della «high street», come si chiamano in tutta la Gran Bretagna le strade dello shopping, non sta meglio: la crisi spinge negozi e centri commerciali ad anticipare non solo il Natale, perfino i saldi di fine stagione normalmente in programma a gennaio. Ma la gente non compra più: neanche per una sterlina.