Elena Aga Rossi, Corriere della Sera 15/11/2008, 15 novembre 2008
Università: i sorteggi per i concorsi Condivido pienamente la denuncia di Giavazzi sul sistema dei concorsi universitari, ma temo che il sistema del sorteggio su una rosa più ampia di candidati introdotto dal recente decreto del ministro Gelmini non cambi sostanzialmente la situazione ( Corriere, 11 novembre)
Università: i sorteggi per i concorsi Condivido pienamente la denuncia di Giavazzi sul sistema dei concorsi universitari, ma temo che il sistema del sorteggio su una rosa più ampia di candidati introdotto dal recente decreto del ministro Gelmini non cambi sostanzialmente la situazione ( Corriere, 11 novembre). I gruppi organizzati di professori possono distribuire i voti in modo da ovviare anche agli effetti di un sorteggio, e quindi il problema si porrà soltanto per quelli che non hanno una rete di collegamenti a livello nazionale. Per rimescolare le carte sarebbe stato necessario ridurre da due a uno i vincitori dei concorsi, contrapponendo così il candidato locale a quelli nazionali, ma soprattutto dovevano essere riaperti i termini di presentazione delle domande. Infatti, sapendo che l’esito dei concorsi era già deciso, molti studiosi anche con ottimi titoli avevano scelto di non presentarsi. Non sono pochi i casi in passato in cui ad alcuni coraggiosi che si erano presentati ugualmente è stato chiesto di ritirare la domanda. Infine la sciagurata decisione di fare i concorsi a livello locale stabilita quasi dieci anni fa dal ministro Luigi Berlinguer ha immesso nei ruoli tanti professori che non avrebbero mai avuto alcuna possibilità di vincere una cattedra se il concorso si fosse fatto a livello nazionale. Questa situazione deve essere tenuta presente quando si parla di sorteggi come rimedio al sistema della cooptazione. Infine è noto che l’eleggibilità di un professore come commissario ai concorsi non è mai dipesa dalla sua produttività scientifica, per questo il suggerimento di Giavazzi di pubblicizzare elenchi dei professori qualificati appare molto ingenuo. L’abbassamento della qualità dei nostri atenei può essere fermato soltanto da una riforma radicale che abolisca il valore legale dei titoli di studio e prenda in considerazione la qualità della ricerca dei professori e non il numero degli studenti come elemento centrale dei finanziamenti alle università. Su questo punto insiste giustamente Giavazzi, ma nessun ministro ha finora avuto il coraggio di proporre l’abolizione del valore legale. Elena Aga Rossi Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione, Roma