Salvatore Bragantini, Corriere della Sera 15/11/2008, 15 novembre 2008
Paul Volcker, ex presidente del Federal Reserve System (Fed), ha detto di recente: «Con tutti i suoi attori di genio e i suoi ricchi premi, il nuovo e brillante sistema finanziario ha fallito all’ esame del mercato», aggiungendo che il paese è «drogato dall’abitudine a consumare al di là di quanto produce»
Paul Volcker, ex presidente del Federal Reserve System (Fed), ha detto di recente: «Con tutti i suoi attori di genio e i suoi ricchi premi, il nuovo e brillante sistema finanziario ha fallito all’ esame del mercato», aggiungendo che il paese è «drogato dall’abitudine a consumare al di là di quanto produce». Partiamo da questo qualificato commento per esaminare un aspetto trascurato della crisi. Alla radice di – questa c’è – oltre alla politica di bassi tassi di interesse che causa un uso esasperato della leva finanziaria – anche il massiccio spostamento di valore aggiunto dal capitale al lavoro; questo ha impoverito le classi medie, costrette a indebitarsi per consumare come prima. «Il tenore di vita degli americani non è negoziabile», diceva l’amministrazione Bush, e Wall Street ha fornito i mezzi adatti al fine, traendone lauti profitti. Ora i costi li paghiamo tutti. La Fed ha sempre lasciato gonfiare la bolla di turno (Internet, immobili etc.), dicendo che non gli spetta decidere quale sia il prezzo giusto degli asset; quando però la bolla scoppia, esso diventa di botto attivissimo, inondando il mercato di liquidità e riducendo i tassi. Le conseguenze politiche e sociali di tale asimmetria sono rilevanti. Finché il mercato sale, l’utilizzo della leva finanziaria amplifica i guadagni, solitamente appannaggio degli happy few; quando però la bolla scoppia, gli interventi di sostegno sono a carico dei contribuenti, fra i quali in genere non ci sono gli happy few, almeno per i guadagni di capitale. Ciclo dopo ciclo questa asimmetria arricchisce i ricchi e impoverisce i poveri, cosa tanto più grave in un Paese che, come il nostro, ha un valore dell’indice di Gini (che misura la disuguaglianza) fra i più alti del mondo occidentale, assieme a Usa e Regno Unito, che però hanno ben maggiore mobilità sociale (gli Usa) o tendenza alla meritocrazia (ambedue). Negli ultimi anni le imprese, mentre venivano additate al mondo intero come paradigma e interprete autentico dell’interesse generale, venivano ridotte ad ancelle degli azionisti – che spesso le usavano come un Bancomat – e dei management, loro schiavi tramite stock option: si vedano i grandi acquisti di azioni proprie da parte delle molte banche Usa, che ora chiedono l’aiuto dello zio Sam per rimpolpare i mezzi propri! Si spera che la crisi serva almeno a spazzar via gli abusi più gravi. Oggi va combattuta in ogni modo la deflazione, ma a meno di un fine tuning raffinatissimo, questo sforzo eccezionale ci porterà altri eccessi, e una bella botta di inflazione. Essa aiuta sempre i grandi debitori, e con questa crisi tutti gli Stati lo diverranno. La situazione che si profila colpisce in modo particolare l’Italia. Per esorcizzare la depressione, tutti i Paesi apprestano politiche di sostegno dell’economia, ma gli spazi per un intervento pubblico di sostegno – ai redditi bassi o alla domanda in generale – sono strettissimi per un Paese cicala come noi: ce li siamo giocati in cene in pizzeria, diceva Andreatta. Già lo spread fra i titoli del debito pubblico italiano e quello tedesco segnala che i mercati temono una diminuzione dell’affidabilità nostra, e il confronto fra questo spread e i tassi di Credit default swap delle nostre grandi banche induce a domandarsi, nella manovra di sostegno dello Stato alle banche, chi stia davvero garantendo chi. Il turmoil, poi, mette a rischio il mercato unico e l’euro, fondato sui parametri di Maastricht, traballanti sotto i colpi della crisi; sarebbe una sventura se esso, incubato nei Paesi anglosassoni, distruggesse questi pilastri della Ue, che proprio quei Paesi han sempre dileggiato ed osteggiato. Per oggi è in cartellone la Bretton Woods 2, come la si è enfaticamente definita; senza la nuova amministrazione Usa, e coi grandi Paesi «nuovi» in punta di piedi, avremo solo reticenti rassicurazioni sulla nostra ottima salute, e tanti buoni propositi di governance mondiale. Non ci si chiederà, col candore della regina inglese, come è potuto arrivare questo sconquasso; è evidente che non c’era contezza di questo pericolo, altrimenti si sarebbe dovuto fare qualsiasi cosa per impedirlo! La nave solca maestosa il mare, ma senza pilota. difficile che ci siano tempo e voglia di affrontare un problema di fondo: come aumentare la quota di valore aggiunto che va al lavoro. Si tratta, nientemeno, di far ripartire la macchina del capitalismo, al contempo diminuendo le enormi iniquità nella distribuzione della ricchezza che rischiano di renderlo socialmente inaccettabile.