Piero Ostellino, Corriere della Sera 12-15-22/11/2008, 22 novembre 2008
CORRIERE DELLA SERA, 12 NOVEMBRE 2008
Ieri, 130 «irriducibili» hanno proclamato lo sciopero dell’Alitalia e paralizzato il Paese già a piedi per l’astensione negli altri trasporti. I sindacati autonomi Anpac, Up, Sdl, Avia, Anpav – che già avevano sconfessato Cgil, Cisl, Uil e Ugl, opponendosi alla firma dell’accordo con la Compagnia aerea italiana – avevano cercato invano di far ragionare gli oltranzisti. Sono stati «scavalcati» anch’essi da un neonato Comitato di lotta, in una inedita confusione di leggerezza e irresponsabilità. Fermi gli aerei, a terra; a casa la maggioranza dei dipendenti – che non si oppone più alla soluzione individuata dal governo e messa a punto dalla cordata di imprenditori privati – ieri a volare sui cieli d’Italia e del mondo non era la bandiera nazionale. Erano Danton e Robespierre.
la logica di ogni sorta di rivoluzionarismo, che divora progressivamente i suoi stessi figli, fino a quando compare l’autocrate di turno che pone fine alla rivolta con un atto di imperio. Per l’Alitalia, c’era stato lo spettro del fallimento. Dissoltosi questo, aleggia ora sulla Compagnia quello dell’incriminazione o della precettazione degli scioperanti; che non è l’autocrate, ma la legittima risposta di uno Stato democratico che non tollera, giustamente, di essere in ostaggio di una minoranza estremista che difende i propri interessi corporativi.
Ma in gioco non sono solo il futuro della compagnia di bandiera e l’autorità dello Stato, bensì la credibilità delle rappresentanze dei lavoratori, dei sindacati. Ridurli a terra di nessuno, alla condizione di tutti contro tutti, non conviene a nessuno; tanto meno ai lavoratori. «Essere legati al proprio ambiente, amare la piccola squadra cui si appartiene nella società – scriveva Edmund Burke nel 1790 nelle sue Riflessioni sulla rivoluzione francese – è il primo principio di ogni affezione pubblica. il primo di una serie di legami percorrendo il quale giungiamo all’amore per il nostro Paese».
Ieri non è stato così. Nessun legame col proprio ambiente, nessun amore per la propria squadra, nessun rispetto per il proprio Paese. Solo cieco rivendicazionismo minoritario, estremismo verbale, violenza, se non fisica, certamente formale. «Per garantire un minimo di sobrietà ai discorsi che tengono in qualsiasi assemblea pubblica – scriveva ancora Burke – i capi dovrebbero rispettare, in un certo grado, forse temere, coloro che amministrano ». La proclamazione dello sciopero contro le Confederazioni e persino i sindacati autonomi è stato, innanzi tutto, mancanza di rispetto per gli stessi lavoratori.
Ora, però, spetta alla maggioranza degli uomini e delle donne che hanno a cuore, col proprio posto di lavoro, la dignità del Paese, reagire in modo appropriato. «Per evitare di essere guidati alla cieca – questo il consiglio dello scrittore irlandese ai francesi dell’epoca – i seguaci debbono comportarsi, se non da protagonisti, da giudici, da giudici investiti di peso e di autorevolezza spontanei».
CORRIERE DELLA SERA, 15 NOVEMBRE 2008
Nel fondo di martedì scorso (Aerei, Danton e Robespierre), avevo accusato gli «irriducibili » dell’Alitalia – che hanno proclamato lo sciopero – di «cieco rivendicazionismo minoritario». Anche se resto della stessa opinione, mi pare utile riferire i dati – elaborati da quelli dell’Annuario dell’Associazione delle aviolinee europee – che mi ha fatto avere un comandante della nostra compagnia.
Nel 2006, Alitalia ha avuto a libro paga 62 persone per ogni aereo, contro 159 di Iberia, 808 della British, 659 di Air France-Klm, 542 di Lufthansa. Ogni dipendente di Alitalia ha prodotto, nel 2006, 413.300 euro, contro 210.000 dei dipendenti Lufthansa, 188.900 di Air France-Klm. Anche per il trasporto merci i dati comparativi collocano la nostra compagnia al primo posto in Europa per produttività del personale.
Dall’analisi dei «Ricavi del traffico» e delle spese, l’Alitalia, per ogni 100 euro incassati, ne spende 15,6 per il personale e 94,2 per tutto il resto, con un passivo di 9,9 euro; Air France-Klm, sempre su 100 euro incassati, ne spende 31,5 per il personale e 65,6 per tutto il resto, con un utile di 2,8 euro. Per carburante, catering, tasse di sorvolo e stazionamento, manutenzione, alberghi, consulenze, pubblicità, eccetera, l’Alitalia spende mediamente il 25 per cento più delle altre compagnie, mentre per il personale la metà o poco meno. Questo 25 per cento di spese in più, rapportato ai ricavi (dati 2006), equivale a 1 miliardo e 100 milioni di euro.
Senza queste spese in più, l’Alitalia potrebbe avere un attivo di 500 milioni di euro. Poiché, nell’ultimo piano industriale è stata individuata una perdita di circa 150-200 milioni di euro per i voli per Malpensa – che portano i passeggeri dalle altre città italiane a quelli internazionali o intercontinentali – ne restano ancora circa 900. Dove vanno a finire?
Di qui, altre domande: come è possibile che nessuno si sia accorto di questa sproporzione dei costi? Perché nessun amministratore delegato si è dato da fare per ridurli? Come mai, invece, si vendono i gioielli di famiglia e si tagliano le linee? Perché in Alitalia non è mai venuta la Finanza a controllare i conti, e neppure la magistratura si è interessata di un’azienda che, dopo aver speso miliardi di euro dei contribuenti, è andata in bancarotta?
Tolti i costi «diretti» – per far volare gli aerei – che dovrebbero essere gli stessi, o addirittura inferiori a quelli delle altre aviolinee, resta il mistero di quelli «indiretti». Ad esempio, perché l’Alitalia – con un coefficiente dell’80 per cento di riempimento – ha pensato di cancellare le tratte Milano-Delhi e Milano-Shanghai, mentre l’Iberia, con un coefficiente di 63,5, ci guadagna? Se si riducono le linee, calano spese dirette e ricavi, mentre quelle indirette restano le stesse. Spalmate su un numero inferiore di linee, renderebbero passive anche quelle attive, aprendo la strada a ulteriori cancellazioni.
Ho il sospetto che il «caso Alitalia» sia una delle più colossali porcate prodotte nel dopo-guerra dall’intreccio fra politica e affari. C’è qualcuno che mi vuole smentire?
CORRIERE DELLA SERA, 22 NOVEMBRE 2008
Mercoledì 12, esce un mio fondo («Aerei, Danton e Robespierre») di critica ai 130 di Alitalia che hanno indetto lo sciopero. Un comandante mi manda alcuni dati su dipendenti e costi dell’azienda. Li pubblico nel «Dubbio» di sabato 15. Molti di loro mi scrivono, ringraziandomi, perché – dicono – è la prima volta che compaiono su un giornale, malgrado li avessero forniti ai giornalisti che seguono la vicenda. Succede. Ricostruisco, ora, la vicenda Alitalia come credo di averla capita.
Oltre agli «opachi» costi indiretti (900 milioni l’anno che non si sa dove finiscano), i fattori di crisi sarebbero: 1) Lufthansa e Air France-Klm hanno al loro interno società che si occupano di servizi di supporto all’attività della flotta e dai quali traggono un utile; invece di gestirla meglio, Az-Service è stata scorporata da Alitalia con l’intenzione di parcheggiarla in Fintecna; 2) le aviolinee straniere hanno un numero molto elevato di voli sulle grandi tratte – che sono le più redditizie – dove impiegano più personale; 3) se Alitalia avesse tenuto tutte le sue grandi tratte non avrebbe dovuto ridurre i dipendenti, ma assumerne; 4) il numero minore «per aereo», che attesta l’alta produttività di quelli rimasti, non è un vantaggio. un indicatore del fallimento di Alitalia.
L’operazione in corso traghetta AirOne in Cai – che è l’acronimo di Compagnia aerea italiana ma, in realtà, di Cordata amici imprenditori – la quale si appresta a comprare Alitalia. Salvo i debiti, oltre due miliardi. Se li accollerà lo Stato (i contribuenti): l’equivalente delle ricapitalizzazioni del passato restando proprietario. Ne dovrebbe nascere una soluzione bicefala, ma monopolistica. Poiché sarebbe singolare che le due Compagnie – entrambe di proprietà della Cai – si facessero concorrenza, mi chiedo se Alitalia e AirOne (di fatto, la Cai) non imporranno, sui voli nazionali, le tariffe che vorranno. La qual cosa solleva due sospetti. Primo: che si tratti dell’ultimo episodio della storica complicità fra politica – principale responsabile del fallimento – e «capitalismo senza capitali» alla faccia del mercato. Secondo: che se, fra cinque anni, Air France-Klm si compra Cai, scompaiano entrambe. Chiamarla «salvataggio di Alitalia» non è un po’ troppo?
Via libera del governo all’acquisto di Alitalia da parte di Cai, con un rilancio di 52 milioni, rispetto all’offerta di un miliardo di euro. Cai pagherà 100 milioni subito in contanti, altri 327 a rate, il resto in accollo di impegni strategici fino a 1.052. Se così fosse, con 427 milioni – o 100? – si è comprata goodwill, marchio, 93 aerei, capacità professionali. Con Alitalia, entrerà in possesso del pacchetto di diritti di volo. Che non sono di Alitalia, ma dello Stato.
CivilAvia ne aveva concesso a Alitalia l’uso esclusivo in quanto Compagnia di bandiera. Non sarebbe meglio se lo Stato li trattasse separatamente e li rendesse disponibili anche ad altri – guadagnandoci – e non solo a Cai, che ne userà solo una parte?