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 2008  novembre 22 Sabato calendario

MILANO

Dal veto di Telefonica all’ingresso di nuovi soci finanziari (fondi libici in primo luogo), fino al tramonto di ogni ipotesi di accordo con 3 Italia. Vista così, la fase due della strategia di Franco Bernabè per il rilancio di Telecom, con il nuovo piano industriale che sarà presentato il 2 dicembre, sembra costellata di vicoli ciechi. Ma, in fondo, non sono queste le partite decisive. Lo è invece quella sulla rete. E proprio su questo tema si sta aprendo una settimana da cui potrebbe emergere con una certa chiarezza l’indirizzo che il governo intende prendere su quel next generation network (la rete di nuova generazione, basata sulla fibra ottica o su un mix di tecnologie) che è considerata una infrastruttura fondamentale per lo sviluppo economico del Paese. Fra lunedì e martedì è attesa la riunione della commissione trasporti della Camera presieduta da Mario Valducci che, dopo aver ascoltato tutti gli operatori (compresi quelli del settore televisivo), presenterà ufficialmente i suoi orientamenti. Quella che sembra profilarsi è la richiesta di una separazione funzionale fra la gestione della rete e quella di servizi e contenuti. Un «modello» molto simile a quello adottato in Gran Bretagna da Bt con Open Reach.
Vale a dire un passo che va ben oltre la scelta adottata da Telecom Italia quando ha fatto confluire le infrastrutture di rete nella divisione Open Access, risultato di una semplice separazione amministrativa.
Mercoledì, poi, sarà la volta dell’Authority per le Comunicazioni (Agcom) pronunciarsi sugli «impegni » presentati nei mesi scorsi da Telecom Italia. E qui, tutto lascia pensare che il sostanziale favore con cui i commissari avevano accolto l’«iniziativa autonoma » del gruppo di telecomunicazioni lasci il posto a una valutazione più critica. Con esplicite richieste di emendamenti alla carta degli «impegni» che servano a rendere più efficace la distinzione fra Telecom e la sua infrastruttura di rete. Quel che è certo è che, rispetto a pochi mesi fa, appare cambiato il fronte dei concorrenti che premono per maggiori aperture dell’ex monopolista. O meglio, è mutata la stessa mappa dei «concorrenti», con l’aggiunta soprattutto degli operatori televisivi e, in particolare, di Mediaset. Da almeno un paio di mesi il gruppo controllato da Silvio Berlusconi non fa mistero di voler giocare un ruolo di primo piano nel business della rete di nuova generazione, canale di passaggio dei programmi di tv a pagamento di protocollo internet. «Deve essere un patrimonio di tutto il paese, e dunque anche di Mediaset», ha ribadito al meeting di Capri il consigliere d’amministrazione del Biscione, Gina Nieri.
E, mentre entra nella fase decisiva la partita sulle infrastrutture, fra gli stessi concorrenti «tradizionali» (da Wind a Fastweb fino a Vodafone-Tele2) cresce la preoccupazione per le mosse che Telecom Italia sta mettendo in campo per incrementare la sua quota (ancora oltre il 70%) nel mercato delle telecomunicazioni su rete fissa. Qualcuno, almeno dei documenti interni, parla del rischio di un ritorno a una situazione di sostanziale monopolio, che passa attraverso la frenata degli investimenti sul tradizionale network in rame, l’aumento del canone per gli abbonati (proprio mentre viene lanciata Alice senza canone) e la richiesta di un sostanziale incremento delle tariffe unbundling, cioè quelle che i concorrenti pagano a Telecom per l’accesso alla rete locale.
Giancarlo Radice