Giuseppe Guastella, Corriere della Sera 22/11/2008, 22 novembre 2008
MILANO
Per la prima volta una società di revisione dovrà risarcire i risparmiatori che hanno perso i loro soldi investiti in Borsa a causa del fallimento dell’azienda che era stata certificata in buone condizioni. L’ottava sezione civile del tribunale di Milano ha condannato l’Italaudit (ex Grant Thornton e in liquidazione) a pagare un milione e 520 mila euro a sessanta risparmiatori che avevano acquistato azioni e obbligazioni Parmalat.
Dopo l’arresto nel 2003 del patron di Parmalat Calisto Tanzi su richiesta della Procura di Milano per aggiotaggio (al processo sono stati chiesti 13 anni di carcere), 60 risparmiatori si rivolgevano al tribunale citando la Grant Thornton che dal 1998 aveva revisionato e certificato il bilancio Parmalat e dal 1999 in poi i bilanci di alcune delle società estere del gruppo, tra cui Bonlat, «rivelatesi strategiche ai fini della costruzione di falsa liquidità e redditività». Basandosi sui risultati dell’inchiesta penale, i giudici (estensore Francesca Fiecconi, presidente Fernando Ciampi, giudice Guido Vannicelli) nella prima sentenza civile a Milano nel caso Parmalat puntano il dito contro la Grant Thornton che, di fronte alle macroscopiche falsità «immediatamente percepibili con un normale controllo documentale» da un qualsiasi esperto del settore, avrebbero avuto un atteggiamento di «totale acquiescenza, se non di soggezione», verso i «comportamenti omissivi e censurabili» della Parmalat.
Le società revisionate, premette il tribunale, «hanno avuto un ruolo centrale nella creazione della (falsa) liquidità che ha consentito la prosecuzione di tutta l’attività del gruppo» e «l’emissione di ingenti quantitativi di prestiti obbligazionari » che il 23 dicembre 2003 hanno portato al crac da 14,1 miliardi. «Risalta che l’audit neanche al capezzale del gruppo societario ha permesso, coi suoi rilievi, di far percepire al mercato la grandezza, di tipo esponenziale, dell’indebitamento creatosi», permettendo la diffusione di «dati contabili del tutto inveritieri» che hanno pregiudicato la correttezza delle informazioni al mercato ingannando gli investitori». Gli azionisti e gli obbligazionisti non avrebbero mai investito su Parmalat «se solo avessero saputo che si trattava di titoli di una società che non solo aveva perso l’intero capitale dal 1992, ma si trovava in stato di insolvenza sin dal 1996». Quei titoli non avevano «nessun valore».
Gli investitori hanno ottenuto il risarcimento del capitale investito (da 2.500 a 236mila euro) perché avevano ricevuto dalla nuova Parmalat titoli in concambio che compensano gli interessi perduti. Nel processo penale la Procura ha chiesto per l’Italaudit 300 mila euro di sanzione pecuniaria e 600 mila di confisca.
Giuseppe Guastella