Giovanni Pintus, Panorama 27/11/2008, pagina 147, 27 novembre 2008
Panorama, giovedì 27 novembre 2008 Da una parte i signori delle autostrade italiane, dall’altra il governo
Panorama, giovedì 27 novembre 2008 Da una parte i signori delle autostrade italiane, dall’altra il governo. In mezzo le richieste di aumenti tariffari per il 2009. Richieste che il governo deve autorizzare, dato che le società per azioni gestiscono le autostrade in regime di concessione governativa. Discussione complicata da svariati fattori. Il primo, e forse più importante, è che il sistema di calcolo degli aumenti da concedere è diverso da autostrada ad autostrada e per di più particolarmente complesso. Il secondo fattore è che il governo da una parte ha bisogno che il sistema autostradale si sviluppi, quindi dei 30 miliardi che l’Aiscat ha promesso di investire, dall’altra non può permettere che aumentino troppo le tariffe per non intaccare i già provati portafogli degli italiani. L’Aiscat è l’associazione che raggruppa le 24 società che gestiscono la rete autostradale (con la sola eccezione della Salerno-Reggio Calabria, totalmente controllata dall’Anas) e secondo i suoi dati gli investimenti previsti sarebbero un sostegno all’economia italiana pari a 1,5 punti percentuali del pil. Ma, e qui sta il nodo, questi investimenti sono secondo le spa subordinati alla concessione dei rincari dei pedaggi. Rincari di quanto? Panorama, sulla base di documenti ufficiali, è in grado di anticipare le richieste che la maggior parte delle società concessionarie hanno presentato all’Anas e che riguardano il 95 per cento della rete (i dati sono sintetizzati nella cartina a pagina 147). Se ne ricava, innanzitutto, che le richieste di aumento si collocano tra il 2 e il 3 per cento. La società Autostrade per l’Italia ha chiesto aumenti del 2,62 per cento. L’Autostrada dei Fiori il 2,5, le Venete l’1,5, la Sitaf il 2,3, la Cisa l’1,2. La richiesta record è dell’Ativa, la società che gestisce il sistema tangenziale torinese e la Torino-Ivrea: reclama il 6,4. Complessivamente il gruppo Gavio, secondo gestore autostradale italiano, avrebbe proposto un rialzo dei pedaggi più sostenuto rispetto alle Autostrade. Può vantare un trend di investimenti superiore rispetto alla società dei Benetton, che alla fine del 2007 aveva speso poco più del 43 per cento della cifra che si era impegnata a spendere per aprire nuovi cantieri. Insomma, l’accusa di essere tempestivi nel richiedere aumenti dei pedaggi ma lentissimi nel mettere mano al portafoglio è nei numeri. Tuttavia, la richiesta di aumenti, insieme alla crisi economica, potrebbe dare la possibilità di rivedere i meccanismi sia delle tariffe sia degli investimenti. Tema in questi giorni sul tavolo del governo. Oggi il calcolo dei pedaggi si basa su due parametri: oltre al piano degli investimenti, l’indice d’inflazione. In questa regola generale è stata recentemente prevista un’importante eccezione che riguarda solo le Autostrade per l’Italia. La società, che ha investito assai poco rispetto agli impegni (cartina sopra), può contare su revisioni tariffarie certe e legate solo al tasso dell’inflazione, che viene riconosciuto al 70 per cento nel calcolo per stabilire gli aumenti del pedaggio. Per tutte le altre società è in vigore il sistema misto e questo ha creato malumori che Fabrizio Palenzona, presidente dell’Aiscat, spesso non riesce a nascondere. Un metodo nuovo per l’intero comparto potrebbe essere riassunto nella frase «si deve introdurre la meritocrazia anche nel calcolo dei pedaggi autostradali» che Beppe Menardi, senatore cuneese del Pdl, ha pronunciato durante l’ultima audizione a Palazzo Madama dei vertici Anas, che devono esaminare le richieste di rincari. Certamente il ministro dell’Economia Giulio Tremonti e il collega delle Infrastrutture Altero Matteoli intendono uscire il prima possibile dalle discussioni su richieste d’aumento solo parzialmente giustificate e su investimenti mirabolanti, a suo tempo sventolati per ottenere il rinnovo delle concessioni, rimasti sulla carta. Nel trovare nuove regole si dovrà considerare che a volte la volontà di aprire nuovi cantieri o di rendere più veloci e moderne le carreggiate c’è, ma viene contrastata dagli enti locali, da campanilisti e ambientalisti, dai farraginosi meccanismi della burocrazia. Queste difficoltà sono state più volte invocate come giustificazione dai vertici delle Austostrade, che secondo calcoli aggiornati al 2007 sono riusciti a spendere solo 3,91 miliardi di euro contro gli oltre 9 che si erano impegnati a investire dal rinnovo della concessione avvenuto alla fine degli anni 90. Neanche la metà, e le risorse impiegate in infrastrutture ormai assai insufficienti avrebbero dovuto contribuire alla crescita economica. Una cosa è certa: il sistema usato fino a oggi per regolamentare la vita delle società autostradali ha dimostrato molti limiti. A poco sono serviti i correttivi apportati dai vari governi fino all’ultima miniriforma firmata dall’ex ministro Antonio Di Pietro, che oggi l’intero comparto chiede a gran voce di cancellare per pronunciare la parola fine a una stagione che l’Aiscat giudica di forte penalizzazione del settore. Ma trovare un nuovo equilibrio nei rapporti tra il governo e i signori delle autostrade non sarà facile. Il tempo a disposizione è poco: le nuove tariffe dei pedaggi dovrebbero entrare in vigore all’inizio del prossimo anno e c’è il rischio di nuovi irrigidimenti. Per di più solo metà delle società ha ottenuto l’approvazione del piano finanziario che contiene l’importo degli investimenti previsti. O forse gli amministratori di autostrade arriveranno a più miti consigli. Svariate società pur avendo presentato domanda per ottenere rincari sono disponibili a trattare e a limare le pretese. Una soluzione «di sistema» e definitiva arriverà solo con la revisione delle modalità di calcolo degli investimenti. Lo scorporo di alcune voci di spesa e l’introduzione di regole più rigorose per calcolare l’importo delle nuove opere potrebbero pacificare il mondo delle autostrade. Non è detto che mettano in pace anche gli automobilisti. Giovanni Pintus