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 2008  novembre 19 Mercoledì calendario

HELENA JANECZEK PER IL RIFORMISTA DI MERCOLEDì 19 NOVEMBRE 2008

Nel 1981, quando è nato Zlatan, Rosengård contava 18.000 residenti che poi sono lievitati a 21.000, cifra che rispetto alle banlieu francesi appare un niente, e resta persino bassa in confronto alle nostre periferie - la metà di Rozzano, un quarto di Scampia - ma a Malmö sono in tutto 280.000 gli abitanti. Considerato questo, considerato che si tratta di un agglomerato urbano pianificato tutto in una volta (16.000 vivono allo Zen di Palermo, 14.000 al Corviale), capisci invece che alla fine sono tanti. Dentro alla Svezia e alla città di Malmö, non sono solo tanti, ma sono un mondo. Un mondo a parte. E questo te lo racconta pure Zlatan quando ti dice che là nel suo quartiere quelli che ci abitavano non erano svedesi al 90% e lo racconta ancor di più quando ti parla in un misto di inglese e italiano, il cui accento è sempre stato slavo e mai scandinavo, e quando ride cacciando il mento in avanti, alza la testa, scrolla le spalle, o quando allarga le braccia o le gambe come uno svedese non farebbe mai, nemmeno uno cresciuto in un qualsiasi quartiere popolare a maggioranza di gente del luogo. Al resto degli abitanti di Malmö, anzi a tutti gli svedesi, soltanto il nome del "giardino di rose" fa paura. «Non osavano neppure metterci piede», racconta Zlatan, «per loro eravamo tutti gangster, invece per noi non era poi così male, ci conoscevamo tutti, ci si dava una mano».
Zlatan sta tutti i pomeriggi al campetto sotto casa e gioca a calcio con le sue prime scarpe rosse, comprate in saldo quando aveva cinque anni, e impara dai ragazzi più grandi, un bulgaro di nome Gagge e un macedone di nome Goran. Jurka sa dov’è, riesce anche a vederlo, affacciandosi alla finestra del sesto piano. Per cena gli urla giù "è pronto" e Zlatan sale, trangugia in fretta, torna a giocare. A Zlatan piace giocare a calcio e non gli piace stare in quella casa.
Sefik e Jurka si sono separati, lei ha trovato un altro uomo, ha avuto un altro figlio, Alexsandar, e Zlatan non ha problemi con il bambino, non gli va qualcos’altro, forse il nuovo marito di sua madre. Così quando è grande abbastanza, decidono di farlo vivere col padre che ovviamente di giorno va al lavoro, ma tutto questo accade a Rosengård, e Zlatan conosce il suo quartiere e il suo quartiere conosce Zlatan. Tutti i giorni dopo scuola torna al campetto, poi sale a trovare Alexsandar, Sanela e sua madre, magari prima fermandosi al secondo piano per un saluto alla vicina che l’ha curato sin da piccolo quando Jurka era impegnata o fuori a lavorare. La sera riattraversa, e se ha fame - ha sempre fame - si ferma a comprarsi un panino dal kebabaro, fa anche la spesa e mette a posto prima che rientri Sefik.
Ancora oggi piovono a sprazzi a Rosengård i reporter dei giornali nazionali e esteri inclusa Bbc, per studiare il caso più esemplare di ghettizzazione nella Svezia socialdemocratica e aperta all’immigrazione. Descrivono il tasso di disoccupazione dieci volte più alta che nel resto del paese - oltre il 65% -, e parlano di droga, di criminalità, del fondamentalismo che dilaga. Recentemente ci sono state persino un po’ di riots: qualche auto sfasciata e qualche cassonetto o vecchio materasso messo a fuoco, un po’ di scontri con la polizia, non un granché. che i media queste storie se le bevono, quando accadono in un posto chiamato Rosengård. Il problema, secondo loro, non è tanto la né la criminalità né il razzismo - forti partiti xenofobi come in Danimarca non ce ne sono -, ma la mancanza di lavoro. In Svezia campi anche senza, con i sussidi dello stato, però quando accade per decenni a famiglie intere di più generazioni, sembra che si stiano mantenendo le bestie allo zoo. Non c’è da stupirsi se certi, dopo vent’anni, non spiccicano ancora una parola di svedese, cosa del resto non richiesta neanche agli scimpanzè. Ma quasi tutti gli inviati, come nota di colore e di speranza, aggiungono da qualche parte nei loro reportage che oggi l’idolo dei ragazzi è Zlatan Ibrahimovic, è lui che ha addirittura dato una nuova identità al suo quartiere, facendocela a venirne fuori. Il campetto in terra battuta sotto casa di Jurka da poco l’ha fatto rifare, ovviamente adesso porta il suo nome, addirittura il lettere d’oro, ma qualcuno ha subito rubato la "a" di Zlatan, e lui ne ride con orgoglio e con piacere.
Helena Janeczek,
(2 - continua)