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 2008  novembre 21 Venerdì calendario

La recente caduta dei prezzi dei cereali sui mercati mondiali non ha fermato la corsa alle terre agricole

La recente caduta dei prezzi dei cereali sui mercati mondiali non ha fermato la corsa alle terre agricole. Paesi asiatici ed europei con disponibilità di capitali ma scarsità di terra coltivabile vedono nell’affitto di ampie porzioni del Continente nero un’ottima opportunità per risolvere i loro problemi di approvvigionamento. L’ultimo caso, di dimensioni colossali, riguarda la Corea del Sud e il Madagascar. Una filiale della multinazionale Daewoo ha appena concluso con il governo malgascio un accordo per prendere in affitto, fino all’anno 2108, 1,3 milioni nella Grande Isola. Situate in due zone distinte (nell’Ovest e nel Sud-Est) le terre sono ora soprattutto savane non coltivate dove pascolano i greggi dei pastori locali: un’area che complessivamente è grande quasi quanto la metà del Belgio. la prima volta, secondo gli specialisti, che viene concluso un accordo di tale portata. Le terre affittate saranno dissodate da mano d’opera locale formata da ingegneri agricoli sudafricani e sudcoreani, come aveva precisato, a luglio, Yong Nam-ahn, presidente di Daewoo Logistics, la filiale agroalimentare del conglomerato sudcoreano. Secondo il direttore finanziario di Daewoo Logistics, Shin Dong-hyun, l’azienda, già presente in Madagascar, prevede di produrre 500 mila tonnellate all’anno di olio di palma nella parte est della Grande Isola, e quattro milioni di tonnellate di riso all’anno nella parte ovest, dove verrà coltivato su un milione di ettari. Concluso in luglio, l’accordo non prevede il versamento di somme di denaro al governo malgascio per l’affitto delle terre. Daewoo ne finanzierà la messa in valore. L’azienda prevede di investire sei miliardi di dollari nei prossimi venticinque anni e garantirà la costruzione delle infrastrutture necessarie. Le sementi per i palmenti saranno importate dall’Indonesia e dalla Costa Rica, quelle del mais dagli Stati Uniti. L’accordo concluso con la multinazionale sudcoreana è nel solco del progetto del presidente malgascio, Marc Ravalomana che, durante la campagna elettorale del 2006, aveva fatto del settore agricolo l’asse privilegiato per lo sviluppo della Grande Isola. Gli esperti stimano in 35 milioni di ettari la superficie di terre che potrebbero essere coltivate, mentre la superficie finora sfruttata è limitata a due milioni di ettari. Il Madagascar non è il solo Paese africano dotato di un notevole potenziale agricolo che interessa le multinazionali agroalimentari occidentali e asiatiche. anche il caso, tra gli altri, dell’Angola. L’ex colonia portoghese, fino a una trentina di anni fa, esportava derrate alimentari. Oggi deve importare metà del suo fabbisogno di cibo e appena il 10 per cento delle terre arabili sono effettivamente coltivate. Per rilanciare la produzione, il governo angolano ha lanciato un piano di sviluppo su cinque anni che dà un ruolo importante agli operatori stranieri. Sono stati invitati investitori dal Brasile, dal Canada, dagli Stati Uniti e dal Portogallo. Con la multinazionale britannica Lorho le trattative sono in fase avanzata. La bozza di accordo prevede l’affitto di 20 mila ettari di terre che s’integra con la strategia dell’azienda che, secondo il presidente Dave Lenigas, punta a prendere in affitto a lungo termine fino a due milioni di ettari in Africa. La scorsa primavera, è stata la multinazionale americano Chiquita Brands, il primo produttore mondiale di banane, ad annunciare l’intenzione di impiantarsi massicciamente nel Continente Nero. Per il gruppo è una mossa strategica con lo scopo di aggirare gli ostacoli posti dall’Unione Europea all’importazione di banane dall’America Latina. Le aziende private non solo le sole a cercare terre da affittare in Africa, per assicurarsi approvvigionamenti di derrate alimentari che nel futuro potrebbero essere sempre più difficili. Gli stati arabi del Golfo - Kuwait, Emirati arabi uniti... - hanno in progetto massicci investimenti nelle terre africane. la stessa strategia dell’Arabia Saudita, che ha rinunciato per i costi eccessivi a coltivare cereali sul suo territorio quasi totalmente desertico. Con faraonici piani di irrigazione, nei decenni passati era riuscita a diventare addirittura esportatrice di grano, ma quella politica era costata carissima alle casse dello Stato. Di fronte a questa caccia sfrenata alle terre agricole nei Paesi meno sviluppati del mondo la Fao, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura, ha pubblicato di recente un documento che metteva in guardia contro il rischio di un «neocolonialismo» agricolo. Ma l’allarme, per quanto da una sede così autorevole, finora non è stato ascoltato. JEAN-PIERRE TUQUOI PER LA STAMPA DI VENERDì 21 NOVEMBRE 2008