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 2008  novembre 18 Martedì calendario

Il Riformista 21/11/2008 Non è mai stato a Malmö, Zlatan Ibrahimovic, prima che lo arruolasse il Malmö FF

Il Riformista 21/11/2008 Non è mai stato a Malmö, Zlatan Ibrahimovic, prima che lo arruolasse il Malmö FF. Ha tredici anni e probabilmente non si accorge più di tanto che è andata a farsi fottere la Jugoslavia, che a suo padre è stato tolto il sogno di ritorno dell’emigrato, e se Jurka e Sefik cercano di mettersi in contatto con qualcuno giù al paese, se sono arrivati dei parenti profughi, Zlatan è già sulla porta dell’una o dell’altra casa, saluta, va ad allenarsi, Zlatan corre, dribbla, scarta, Zlatan dribbla e scarta quel che sta accadendo, sull’orlo del disastro dei Balcani, Zlatan balla. «Zlatan», gli chiede una giornalista col forte accento milanese e il tono da maestra delle elementari «dimmi che cosa conta per te: calcio, donne, famiglia o amici?». «Faaamiliija», risponde Zlatan, allargando in un gesto vagamente da Gesù Cristo le sue braccia tatuate. Sono le cose che si chiedono a un calciatore. Gli chiedi se gli piacciono le macchine - «Ah, io sono pazzo» -, qual è il suo film preferito - «Scarface, Il gladiatore» -, se guarda lo sport in tv - «Molto con palla e pure fighting» -, cos’è che gli piace di meno fisicamente e psicologicamente in una donna - «A me non piace che sta male, io voglio sempre che tutti stanno bene» - qual è il suo cibo preferito - «Pizza, hamburger, kebab» -, se ha un idolo - «Mohammed Alì». Gli chiedi quando l’ha fatto la prima volta - «Cosa? Vabbè, passiamo a un’altra domanda» - persino se da piccolo dormiva con a teddy bear - «Noooh! I’m a strong guy. I’m strong official, inofficial - I’m a fuck». Ma questa l’intervistatrice, forse per via dell’inglese, non l’ha tanto capita. Non ha capito che pure una risposta scema a una domanda idiota, può dire qualcosa. Forse non se l’aspetta da Zlatan Ibrahimovic - 194 centimetri, 84 chili, piedi del 47 - quasi due metri di cafonaggine universale che acquistano senso ed eleganza solo in gioco. Del resto, «qualcuno dei tuoi amici del quartiere è finito dentro?» o «hai perso dei parenti durante la guerra?», che cosa glielo chiederesti a fare? E se gli porresti la domanda che effetto gli fa allenarsi con uno che è stato amico di uno che ha disrtutto, ammazzato e cacciato via la gente dalla città di suo padre, lui probabilmente ti direbbe «Naah! Parliamo la stessa lingua, ci piace la stessa musica (perché lui spazia dal rap alla juggemusik incluso il turbofolk di Ceca, vedova di Arkan) e in campo non si parla di politica, ma si lavora». Comunque si tiene pure la cittadinanza bosniaca, quindi dov’è il problema? Ne ma problema. Sul corpo alto quasi due metri di Zlatan Ibrahimovic si ricompongono le membra lacerate della famiglia e della Jugoslavia. Perché quando bruciavano alle sue spalle Bjielijna e Skarbnja, non si è voltato indietro, forse non sapeva manco bene verso dove, ma non importa, importa solo che correva, correva col pallone attaccato al piede e quando tirava in porta e segnava, come Mosè se li portava fuori dal passato. Se non avesse realizzato il nome che in serbo, bosniaco e croato vuol dire "d’oro", Zlatan Ibrahimovic o qualcuno dei suoi fratelli forse avrebbe fatto un giro in galera. Forse suo padre per età, per nostalgia, per solitudine e voglia di ammazzare il tempo, avrebbe cominciato a frequentare la grande moschea bianca, l’unico edificio a Rosengård che non sia rettangolare. O i suoi fratelli. O Zlatan stesso, finito di giocare. E anche senza questo, se fosse rimasto a Rosengård avrebbe facilmente trovato una ragazza con Nike e jeans, ma in testa il velo, non una bionda ex modella svedese che è un sogno tanto straordinario quanto comprarti una Porsche, una Bmw e una Ferrari perché da grande diventerai un grande calciatore. Helena Janeczec (4 - fine)