Roberto Mania,, la Repubblica 21/11/2008, 21 novembre 2008
Il terribile terremoto del 1997 lasciò praticamente intatto lo stabilimento della Antonio Merloni di Colle Gaifana, tra Nocera Umbra e Gualdo Tadino, lungo la vecchia Flaminia
Il terribile terremoto del 1997 lasciò praticamente intatto lo stabilimento della Antonio Merloni di Colle Gaifana, tra Nocera Umbra e Gualdo Tadino, lungo la vecchia Flaminia. Andò giù qualche muro tagliafuoco, si incrinò il tetto del grande capannone. Nulla più. Dopo una settimana lo stabilimento riaprì intorno alle macerie, perché lì fu l´epicentro della scossa. Nocera era crollata, ma migliaia di famiglie restavano attaccate alla "mammella" della Merloni. Una balia più che una mamma. Vissuta con distacco dalla comunità nocerina-gualdese così poco industriale e assai agricolo-pastorale. Un corpo estraneo, lì, isolato, mastodontico, bianco, in mezzo ai campi verdi della dorsale appenninica umbro-marchigiana. Una macchia. Eppure un corpo vitale. Per un quarto di secolo ha pompato ossigeno: stipendi bassi, da metalmeccanici di terzo livello, ma sicuri. Quasi un posto statale. Produzione di massa, più che di qualità, tipica di un vecchio e paternalistico capitalismo familiare italiano. Ora, la Merloni, fabbrica di elettrodomestici, sta morendo. L´ultima flebo è già stata attaccata: ancora nove settimane di produzione per esaurire le commesse. Fino alla prima metà di gennaio del prossimo anno. Forse. Perché la Merloni è già in amministrazione straordinaria, ci sono i commissari che devono prima di tutto pagare i creditori. Il buco nel bilancio è di oltre 500 milioni di euro. Improbabile un´alternativa alla chiusura. Più che un progetto industriale servirebbe un miracolo. E allora fine della produzione di frigoriferi in Italia. Nocera si sta spegnendo. Anche l´industria della ricostruzione, dopo oltre dieci anni di attività e tanti colpevoli ritardi, sta esaurendo la sua stagione. Ma questa volta non arriveranno gli aiuti straordinari per i terremotati. Perché questo è uno dei tanti sismi della globalizzazione e non si sa quando termineranno le scosse di assestamento. «Sta crollando un´intera comunità. Con la Merloni chiude tutto» dice il sindaco di Nocera, Donatello Tinti (Pd), che solo un paio di giorni fa ha ricevuto anche lui le chiavi per tornare a vivere nella sua casa nel centro storico dopo anni nelle case popolari. I nocerini si sono abituati al silenzio innaturale del borgo medievale, disabitato da un decennio. La scossa del settembre ´97 rese inagibile oltre il 90 per cento delle case. Ora non c´è quasi nessuno per i vicoli. Qua e là si smontano gli ultimi ponteggi della ricostruzione. Il primo ristorante ha riaperto a pochi passi dal Comune, in piazza Caprera. Una nuova vita mentre non si sa come rianimare il vecchio stabilimento appoggiato laggiù sulla piana. Alla Antonio Merloni lavorano a singhiozzo poco meno di mille operai, ma grazie alla Merloni vivono, nell´indotto allargato, più di settemila persone, più di tutta Nocera che non supera le seimila anime. Sono i numeri di una comunità a un passo dal coma economico. La crisi sta afflosciando lentamente l´economia della zona. I segnali arrivano uno dopo l´altro. Si stima che tutti i piccoli ristoranti, le pizzerie, i bar abbiano già ridotto del 30-40 per cento il giro d´affari da quando (la prima ondata di cassa integrazione risale al 2005) la Merloni è entrata in crisi. Incassano qualcosa solo durante i weekend. I negozi sono vuoti, come i supermarket. Qualcuno comincia a pensare che dovrà chiudere. I piccoli fornitori si sono scoperti solo creditori. La fabbrica è congelata nella paura. E qui - per ora - di alternative non se ne vedono. Anche perché stiamo parlando di operai generici, bassa professionalità, poca specializzazione. Operaio-massa, si diceva un tempo. La Merloni è sempre stata una rigida catena di montaggio a basso costo del lavoro, senza innovazione. In 280 se ne sono già andati, incassando 15 mila euro lordi di incentivo. Qualcuno si era mosso prima per trovare un nuovo impiego nei paesi vicini, altri l´hanno fatto al buio pensando, intanto, di poter pagare le rate del mutuo delle case acquistate proprio dopo il terremoto. Anche il tradizionale artigianato è in piena crisi: negli ultimi due anni, nella zona, si sono bruciati più di 200 posti di lavoro nella ceramica. C´è l´industria dell´acqua, ma assorbe già il massimo della manodopera. Tira ancora l´estrazione del carbonato di calcio che occupa qualche centinaio di addetti. Regge l´agriturismo: 60-70 mila presenze l´anno. Si sta sfarinando invece l´edilizia. Le aziende stanno licenziando, si registra una contrazione dell´attività intorno al 30 per cento perché la ricostruzione - come detto - è finita. Eppure aveva cambiato la stessa composizione sociale di Nocera, da terra di emigrazione nel nord europeo, a terra di immigrazione. Dall´Europa alle regioni del nostro Mezzogiorno sono arrivati in tanti nell´ultimo decennio. L´11 per cento della popolazione è costituita da extracomunitari. Nuove comunità, multiculturali, ben integrate. Tutte sorte intorno alla «balia», il perno dell´economia tra Nocera e Gualdo. L´età media degli operai della Merloni non supera i quarant´anni: troppo giovani per andare in pensione, troppo vecchi, nel nostro mercato del lavoro, per ricollocarsi facilmente. Probabilmente è la fabbrica più giovane della provincia di Perugia. Fabbrica anomala, almeno nella genesi. Perché la Antonio Merloni è il frutto di un grande scambio o di un compromesso, un po´ anche "storico" nel senso di accordo tra democristiani e comunisti. Siamo nei primissimi anni Ottanta. Il sindaco di Nocera Umbra è Walter Ruggiti, con tessera del Pci. Il sindaco di Fabriano, che sta dall´altra parte dell´appennino, è un democristiano di destra: Antonio Merloni, proprio lui, il fondatore, il padrone di sempre, fratello di Vittorio (ora Indesit) e di Francesco (Mts Group). Lì a Fabriano, dove Merloni produce già bombole per il gas e ha avviato la sua azienda terzista per i grandi marchi dell´industria degli elettrodomestici, scarseggia l´acqua. E poi la cartiera ha compromesso le falde acquifere. A Nocera, invece, l´acqua strabocca. Merloni accetta di costruire un nuovo impianto in cambio dell´acqua che da Nocera può arrivare facilmente e dei terreni ceduti praticamente gratis. Ruggiti è comunista e anche industrialista, pensa che da lì può passare la ripopolazione del territorio ormai martoriato dall´emigrazione, verso il Belgio, la Germania, il Lussemburgo. L´idea è vincente, ma non per il suo partito. Che, infatti, subito dopo l´apertura dell´impianto perde le elezioni. che le assunzioni alla fine le fanno i democristiani insieme alla Cisl che ancora sfiora l´85 per cento degli iscritti. Da 200 addetti si arriva al picco di 1.700 circa nella seconda metà degli anni 90. Nessuno sciopero, fabbrica modello. Più o meno. Dentro i «metalmezzadri», un po´ Cipputi un po´ contadini. Dentro anche le donne. Ma dentro Merloni non investe né in formazione, né in innovazione. Il centro motore del gruppo è a Fabriano dove l´indotto arriva a 1.600 micro imprese. Nocera, insomma, è una succursale. E anche l´anello più debole di un gruppo che sbaglia tutto, quando decide di produrre anche per sé e non fare solo il terzista. Capisce tardi la trasformazione dei mercati per prodotti maturi come gli elettrodomestici. L´epilogo è la cronaca di queste settimane, con la legge Marzano, l´amministrazione straordinaria, la cassa integrazione. Così a Nocera si ritrovano con un marchio pressoché sconosciuto (la Ardo), un impianto obsoleto, e una manodopera poco qualificata. Un mix micidiale in un contesto competitivo nel quale tutti hanno sovracapacità produttiva e cercano brand e qualità. «Questo è un secondo terremoto, dopo quello del ?97», sostiene Mario Bravi, segretario della Cgil di Perugia. Sulla catena girano poco più di 3 mila frigoriferi al giorno e circa 250 lavastoviglie. Nei tempi d´oro si raggiungevano oltre 7 mila pezzi. Dai cancelli della Antonio Merloni escono ancora i Tir con dentro i frigoriferi e le lavastoviglie per il mercato del nord Europa. Escono lenti, mentre di corsa se ne vanno gli operai alla fine del primo turno delle quattro linee di montaggio (la quinta è ferma da tempo). Superato il varco accelerano il passo. «Per evitare il traffico», dicono. Piuttosto quel passo allungato esprime, anche plasticamente, la voglia di fuga dalla fabbrica ingrata che ha illuso tutti sulla sua immortalità. Dice Maurizio, poco più che quarantenne, operaio di terzo livello, stipendio che rasenta i mille euro al mese, quindici anni di Merloni: «Qui abbiamo visto solo assumere. Non c´erano mai stati licenziamenti. Dentro la fabbrica c´è incredulità e tanta incertezza». «Non sappiamo nemmeno se questo mese ci pagheranno. L´effetto di questa crisi sarà devastante», spiega Francesca, che arriva da Gualdo, e da otto anni sta alla catena. Il futuro? Maurizio: «Io non so dove sbattere la testa. Qui non è stata creata una professionalità. La gente vive alla catena e dopo vent´anni non sa fare niente». E ora via, di corsa, ancora nelle case popolari. Però a Nocera si sta riaprendo il centro storico. Alla fine saranno 8-9 mila le abitazioni. «Ma rischiamo che non ci siano le persone», chiosa il sindaco Tinti. Da queste parti l´inverno è già arrivato. Freddissimo.