Massimo Gaggi, Corriere della Sera 21/11/2008, 21 novembre 2008
Era il momento più ambito, un punto d’arrivo per tutti i nuovi protagonisti del mondo degli affari: suonare la campana che chiude le contrattazioni dello Stock Exchange, la Borsa di New York
Era il momento più ambito, un punto d’arrivo per tutti i nuovi protagonisti del mondo degli affari: suonare la campana che chiude le contrattazioni dello Stock Exchange, la Borsa di New York. Le aziende si azzuffavano per ottenere questo privilegio dal Nyse, la società che gestisce il mercato azionario più celebre del mondo. Pressioni divenute ancora più intense una decina d’anni fa quando – con la diffusione della finanza in tv e la nascita di canali specializzati come la Cnbc – opening e closing bell di Wall Street sono divenuti momenti seguiti da 100 milioni di telespettatori americani, europei e dell’Asia. Non più: gli spettatori sono sempre là – anzi, con la crisi l’interesse è aumentato – ma da quando, nel settembre scorso, i mercati hanno cominciato a franare, i pretendenti di un certo rango prima si sono diradati, poi sono addirittura scomparsi. Sempre più spesso i funzionari del Nyse sono costretti a invitare, insieme ad aziende minori, benefattori, campioni dello sport, personaggi dello spettacolo. Qualche settimana fa la campana è stata suonata da Michael Phelps, reduce dai trionfi olimpici di Pechino; ieri le contrattazioni sono state aperte da «Make a Wish» (esprimi un desiderio), un’associazione filantropica che cerca di aiutare i bambini con malattie gravi. Il motivo è evidente: industrie e società finanziarie di un certo prestigio non sono per nulla disposte a legare il loro marchio a una giornata di Borsa che probabilmente si concluderà con un calo – se non addirittura un crollo – dell’indice Dow Jones. Ma, a volte, non basta nemmeno questo: alcune settimane fa a suonare alle 4 del pomeriggio (le dieci di sera in Italia) la campana che chiude le contrattazioni, doveva essere Missi Pyle, attrice di Boeing Boeing, una commedia in scena a Broadway. Ma quello fu il «lunedì nero» di Wall Street con un crollo record dell’indice Dow di 778 punti: Missi decise di non dare la sua faccia a quel disastro e si rifiutò di spingere il pulsante che pone fine alle contrattazioni. Toccò a un funzionario del Nyse, a quel punto, suonare la campana. I professionisti della finanza vedono nel fenomeno una conferma del progressivo esaurimento del ruolo del mercato «fisico»: le «grida» sono già state archiviate da anni, le sale di contrattazione sono state ridotte, i «trader » lavorano al computer e anche gli specialisti, che hanno difeso in tutti i modi il loro ruolo di mediatori tra domanda e offerta, sono ormai una figura anacronistica in un mercato in cui quasi tutto avviene, ormai, online. Difficile dire che senso abbia ancora la cerimonia della campana in una Borsa ormai «smaterializzata». Certo, è curioso vedere gente festosa che applaude freneticamente la chiusura delle contrattazioni anche in giornate plumbee come quella di mercoledì, col conduttore della Cnbc che, mentre l’economista Nouriel Roubini elenca le malattie che affliggono l’economia americana e che spiegano il continuo calo della Borsa, lo interrompe esasperato: «Basta Nouriel, ti prego. Altrimenti mi butto dalla finestra».