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 2008  novembre 13 Giovedì calendario

Irene Santelli. Diario, 31 ottobre-13 novembre 2008. In vasca con gli squali. Ore 15.30, in redazione

Irene Santelli. Diario, 31 ottobre-13 novembre 2008. In vasca con gli squali. Ore 15.30, in redazione. E’ passata una settimana dal fallimento di Lehman Brothers. Tutti con gli occhi incollati ai tg, alle agenzie, ai siti dei maggiori giornali internazionali, tutti ad aspettare il crollo imminente delle Borse, la fine del mondo. Arriva un comunicato stampa nella casella di posta elettronica: "Dieci manager si immergeranno all’acquario di Cattolica in una vasca con undici squali toro". Titolo dell’evento: ProfondaMente. Organizza il meeting Adecco. "Che", recita sempre il comunicato, "è numero uno in Italia e nel mondo nella gestione delle Risorse Umane". Team building. Si chiama così. E’ l’attività aziendale extralavorativa il cui scopo è la formazione di un gruppo di persone. Utilizzata con successo in America sui bambini, è oggi sempre più spesso applicata a realtà manageriali con l’obiettivo di ottenere il massimo in termini di performance dai propri dipendenti. E questa volta, l’Adecco "ha fatto team" usando dei bestioni di tre metri. Viene da sorridere. Dieci manager contro undici squali. Ma chi sono questi alti quadri dell’imprenditoria italiana? "Provengono da realtà aziendali molto grosse, tra cui un gigante della moda. Di più non possiamo dire, c’è molto riserbo", fanno sapere dall’acquario. E i partecipanti non hanno paura? "Gli squali sono assolutamente inoffensivi, sono buoni, come del resto tutti gli animali. A meno che non si sentano minacciati". Già, dieci manager in pieno crac delle Borse farebbero paura a chiunque. Anche a un povero squalo. E la crisi? Perchè buttarsi in piscina proprio adesso? "Abbiamo organizzato l’evento pure l’anno scorso", dice Adecco. Ma viene da chiedersi, allora, a che cosa serva fare il bagno tranquilli dentro a una gabbia, circondata da pescecani che girano sonnacchiosi con la pancia piena. "E’ utile ai manager per imparare ad accrescere tecniche di sviluppo personale, basate sulla self leadership reale e migliorare l’attitudine al superamento dei propri limiti percepiti...eccellere in ambienti altamente competitivi sviluppando relazioni equilibrate e proficue all’interno di un gruppo di lavoro", risponde il comunicato stampa. Licenziare. Viene subito in mente. Questi stessi manager che se ne stanno lì, nell’acqua tiepida, mentre le Borse colano a picco, tra sei mesi dovranno forse essere pronti a lasciare a casa centinaia di persone. Meglio addestrarli. Sembra uno scherzo. E invece è tutto vero. "In questo caso è la percezione del rischio che differisce dal rischio reale a mettere in moto il sistema di apprendimento", spiega il professore di Organizzazione aziendale Massimo Magni della Sda Bocconi. "Il problema è come queste persone raggiungano consapevolezza degli strumenti manageriali e poi li rielaborino in un’ottica aziendale. Bisogna capire qual è l’obiettivo: lo squalo potrebbe rappresentare il rischio e la paura per una situazione aziendale critica, in un contesto difficile rappresentato dall’acqua. Lo considero però un modo di fare formazione sul team building che rischia di rendere difficile ed estremo il passaggio tra metafora e realtà aziendale". Cosa fanno invece cinquanta banchieri, sull’orlo del fallimento? Fanno festa. Con una cena a base di tartufo nel ristorante dell’hotel più prestigioso del principato di Monaco, il Luigi XV. Prelibatezze da fine del mondo. Era il 10 ottobre. Erano i broker di Fortis, il colosso belga-olandese appena sprofondato nella crisi dei mercati finanziari (e raccattato dai francesi della banca Bnp-Paribas). Che stappavano lo champagne mentre i 65 mila dipendenti di Fortis in cinquanta Peasi del mondo tremavano e mentre il tonfo dell’Istituto rischiava di impoverire cinquecentomila cittadini belgi. Milano, il giorno dopo. Dipendenti nei corridoi di Fortis Italia. Alle macchinette del caffè ci si scherza su: "Non ho niente da perdere, sono in rosso sul conto"; "Apro un bar sulla spiaggia in Sudamerica"; "Ci inventeremo qualcosa"; "Ci pensano i governi a salvarci". "Ho 30 anni. Come lo pago il mutuo se mi chiude la banca dove lavoro?". Giovani neo-assunti, contratti a termine in ansia. Che devono nascondere le preoccupazioni. Fuori c’è chi sta peggio. Come se i banchieri a Montecarlo riguardassero qualcun altro, come se tutto ciò non avesse conseguenze anche sulle loro vite. I crac non esistono, il ’29 non torna. L’economia non può sprofondare, state tranquilli. Già, perchè alla Fortis dicono: "Siamo tranquilli". E aggiungono laconici: "Questo tipo di evento fa parte del business, era nell’agenda della divisione assicurativa da mesi, prima della crisi del settore bancario. Non sta a noi valutare se dovesse essere annullato o meno. Noi in Fortis Italia continuiamo a concentrarci sulle priorità, ovvero sui nostri clienti e sull’attività quotidiana". E il cliente, quello con la c minuscola, quello con il conto da centomila euro è tranquillo quando vede cinquanta manager festeggiare, manco fosse il banchetto dell’Apocalisse? Un silenzio imbarazzato è la risposta. "Non sta a noi giudicare". Gli ordini si eseguono. Punto. "Il team buiding non deve però essere un semplice momento di svago, fine a se stesso (come, per esempio, costruire il ponte tibetano con le corde, camminare sui carboni ardenti, o lanciarsi con il paracadute). E’ un’esperienza formativa che deve essere rielaborata con lo scopo di fornire gli strumenti per affrontare il passaggio verso un altro stato dell’azienda, della multinazionale o della banca", spiega ancora Magni. Detto in soldoni: il team building si può fare. E, se fatto bene, serve. Il problema sorge quando l’evento è organizzato non per fare squadra, ma piuttosto con l’obiettivo di tenere buoni i dipendenti, trattandoli come bambini che vanno distratti o suggestionati con il gioco. Caso border line è Nestlé, la multinazionale del cibo che dal 1988 possiede Buitoni. E’ il 2007, la produzione dell’azienda italiana fatica a crescere e a stare al passo con i ritmi del gigante alimentare. Occorre cambiare. Viene deciso il riposizionamento del marchio. E la Nestlé, il 10 settembre dell’anno scorso, annuncia un cambio al vertice della propria divisione italiana. Arriva Manuel Andrés, abbronzato, alto, sulla quarantina, di origine spagnola, studi negli Stati Uniti. Per celebrare il cambio al vertice e il rilancio aziendale (e per unire realtà come Buitoni, Locatelli, Italgel) viene organizzata una convention. Tre mesi di lavoro, trecento le persone invitate (quadri medio-alti e venditori), un budget a sei zeri. Location: Palazzo Ducale, a Genova. Per quattro ore, i manager raccontano storie che, attraverso simboli e metafore, rimarcano i valori fondamentali dell’azienda. Fin qui niente di eclatante. "E’ normale team building, fatto anche molto bene", spiega uno degli organizzatori. Manca poco alla fine della giornata. Sale sul palco lui, l’uomo del cambiamento. Il nuovo amministratore delegato Manuel Andrés ringrazia. E’ travestito da cuoco. Urla ai presenti: "Questo è il nostro anno. Ce la faremo vero?". Un coro proveniente dalle file ordinatamente sedute sul prato di Palazzo Ducale risponde con un poco convinto: "Siiiii". Non siamo mica in America. E Andrés di rimando: "Per essere sicuro che tutto quetso possa essere fatto in maniera veloce e aggressiva vi ho preparato un vestito molto speciale". Intanto una decina di hostess distribuisce al pubblico mascherine e mantelli da Superman. Un Superman verde, con la B di Buitoni al posto della S. Qualcuno ride, qualcuno sta al gioco, altri sono visibilmente perplessi. Alcuni, a posteriori, dicono: "Mi sono sentito umiliato". Andrés sparisce dietro le quinte. Si toglie la divisa da cuoco e ricompare anche lui, in tuta attillata di lycra da supereroe. Un argano, portato per l’occasione dentro Palazzo Ducale, lo avvicina al cielo. Vola sopra i suoi manager. Inizia a far scoppiare palloncini bianchi sui quali sono disegnati i loghi dei marchi concorrenti. Musica di sottofondo: "We are the champions" dei Queen. Finalmente Andrés viene calato giù dalla gru. Ringrazia i presenti (alcuni sghignazzano, altri applaudono) e dice: "Faremo decollare le nostre vendite di Buitoni. Grazie". Poi tutti a cena, con trenino finale intorno ai tavoli. Costo dei cinque minuti di apparizione di Superman: 10 per cento dei budget totale speso per mezza giornata di convention. "Superman non è un male di per sè", spiega Magni. "Alcuni aspetti sono distorti rispetto al messaggio che probabilmente si voleva dare, ("siamo tutti insieme, siamo eccellenti, possiamo andare a bucare il mercato"), in base agli elementi che ho a disposizione posso dire che una convention del genere, senza una rielaborazione successiva di questo messaggio, non sortisce effetti utili". Utili, già. In Buitoni, dopo il volo di Superman, le cose cambiano. Nel giugno 2008 viene ufficializzata la cessione dello stabilimento di San Sepolcro (Arezzo) con l’utilizzo del marchio per la divisione pasta e fette biscottate Buitoni al gruppo italo-svizzero Tmt, di proprietà dell’imprenditore Angelo Mastrolia. La notizia non viene presa bene dai dipendenti dello stabilimento che entrano immmediatamente in sciopero. Che Superman abbia fallito la sua missione? No comment, in merito, da parte di Nestlé e di Andrés, diretto interessato. Un vero caso di success story, come amano chiamarla gli esperti...