Guido Olimpio, Corriere della Sera 20/11/2008, pagina 21, 20 novembre 2008
Corriere della Sera, giovedì 20 novembre WASHINGTON – Qualche giornale britannico, con un occhio al Natale, si è chiesto: «Quest’anno nei negozi avremo meno Playstation da acquistare per colpa dei pirati? »
Corriere della Sera, giovedì 20 novembre WASHINGTON – Qualche giornale britannico, con un occhio al Natale, si è chiesto: «Quest’anno nei negozi avremo meno Playstation da acquistare per colpa dei pirati? ». Un’allusione alle conseguenze sul traffico mercantile delle scorrerie al largo della Somalia. Ma i corsari non se ne preoccupano. Anzi, imperterriti intercettano tutto ciò che passa. E fanno fruttare i soldi incassati con i riscatti: almeno 30 milioni, secondo la valutazione delle Nazioni Unite. Dopo gli assalti iniziali e sporadici si sono organizzati. In netto contrasto con l’anarchia che regna in Somalia riescono a dividersi il bottino, a non compromettere per ingordigia il grande affare. Solo in pochi casi sarebbero nati problemi, conclusi a colpi di Kalashnikov. Un pirata ha rivelato come siano spartite le quote: 20% ai capi, 20% per finanziare ulteriori spedizioni, 30% agli equipaggi, 20% alle autorità locali. Tenuto conto che per ogni nave restituita possono ottenere 1-2 milioni di dollari, non va poi così male. E le cifre salgono in casi particolari. Per la Faina, un mercantile ucraino pieno di carri armati destinati al Sud Sudan, si sta ancora trattando su una somma che si avvicina agli 8 milioni di dollari. Per la superpetroliera saudita ne avrebbero chiesto 10. Ovviamente, trattabili. Piuttosto efficiente, tenuto conto sempre del teatro in cui operano, il sistema di pagamento. In genere, i corsari vogliono i contanti a bordo e, stando ad alcune testimonianze, si sono attrezzati: hanno macchinette conta-banconote e dispositivi per verificare che non si tratti di denaro falso. Loro sono banditi e dunque non si fidano troppo del prossimo. In alcune occasioni i pirati si sono fatti versare il riscatto a Dubai, dove agiscono cambiavalute con agganci in Somalia e sanno come «lavare» rapidamente il bottino. Con una tale liquidità le gang si rifanno la casa, comprano la jeep, prendono moglie, sperperano nei bordelli mentre i capi pensano a reinvestire. Con due possibilità. La prima prevede che affidino i dollari a complici somali presenti in Nord America, nel Golfo Persico, in Scandinavia. Saranno poi loro a restituire i guadagni degli investimenti, quasi sempre legali. La seconda comporta l’uso dei soldi direttamente in Somalia. Fonti di intelligence sostengono che talune bande comprano il famoso khat – un’erba dagli effetti narcotici – molto popolare in tutto il Corno d’Africa ma che ha acquirenti anche in Europa. Il secondo «mercato» è quello del carbone da legna diretto verso gli Emirati Arabi e gli altri paesi che si affacciano sul Golfo. Lo pagano bene, c’è una forte domanda: alle bande somale tocca procurarlo e farlo arrivare. Chi vuole rischiare di più ricicla alimentando traffici altrettanto redditizi. Nel braccio di mare che divide la Somalia dallo Yemen transitano le imbarcazioni che portano gli immigrati clandestini, una «mercanzia » inesauribile e che purtroppo paga spesso un prezzo altissimo a causa dei naufragi. Sulla medesima rotta si sviluppa quello delle armi. Ne hanno bisogno miliziani e pirati nello scacchiere somalo, sono buoni clienti gli yemeniti. E non è difficile piazzarle neppure più a nord, lungo le due coste del Canale di Suez. Un indotto fantastico per chi non ha nulla da perdere e che probabilmente rappresenta un incentivo irresistibile per i corsari, anche a rischio di prendersi qualche cannonata. Una motivazione che unita alle evidenti difficoltà operative ostacola l’azione repressiva della flottiglia internazionale. Guido Olimpio