Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2008  novembre 20 Giovedì calendario

La Stampa, giovedì 20 novembre L’angelo d’oro campeggia su tutte le sedi della Alior Bank, la sua ultima creatura, con 80 filiali in Polonia, la terra degli avi

La Stampa, giovedì 20 novembre L’angelo d’oro campeggia su tutte le sedi della Alior Bank, la sua ultima creatura, con 80 filiali in Polonia, la terra degli avi. Ma in Italia, sua patria d’adozione, Romain Zaleski è ormai un angelo caduto. L’ingegnere franco-polacco, che negli ultimi anni ha conquistato - rigorosamente a credito - una fetta cospicua del sistema finanziario nazionale usando i soldi delle banche per comprare quote soprattutto delle banche, adesso non vola più. Anzi, rischia di trascinare con il peso dei suoi debiti quelle stesse banche che finora lo hanno tenuto in quota e di creare qualche imbarazzo a chi - è il caso del presidente del consiglio di sorveglianza di Intesa-Sanpaolo Giovanni Bazoli - ha stretto con lui un sodalizio strettissimo. Perché Zaleski – che tra poche ore lascerà tutti i poteri nella sua Tassara al banchiere di lungo corso Pierfrancesco Saviotti – rappresenta in fondo il primo caso in cui la crisi dei mercati internazionali sbarca direttamente nei nostri confini. La caduta dei colossi a debito, che finora ha permesso proprio alle banche italiane di celebrare la loro virtuosa diversità, assume con lui tratti concreti. Riscuotere crediti  un oggetto misterioso che però si è mosso quasi sempre su orbite prevedibili, questo ingegnere minerario classe 1933, che dopo una carriera non disprezzabile in Francia – vicino a Valery Giscard D’Estaing è stato anche tesoriere dell’Udf – si insedia in Italia negli Anni ”80 da dirigente di un gruppo francese per tentare di recuperare i crediti – sempre i crediti… - con l’allora sconosciuta Tassara. La storia più recente è quella di un uomo il più possibile lontano dai riflettori. Villetta senza fronzoli alla periferia di Milano, caffè senza zucchero, vita senza eccessi da miliardario che pure è, hobbies senza clamore come l’adorato bridge dove giganteggia nella nazionale francese assieme al presidente delle Generali Antonine Bernheim. In compenso molte opere di bene, una fondazione intitolata al padre Zygmunt e un unico riflesso di mondanità che gli arriva dalla moglie Hélène de Prittwitz, appassionata di bel canto e vicepresidente della Fondazione Milano per la Scala. Non è dunque un caso che in queste ore le torri di controllo della finanza italiana - leggasi in primo luogo Intesa-Sanpaolo e Unicredit - stiano completando un atterraggio il più dolce possibile per Zaleski. Fuori i creditori esteri come Bnp Paribas e Royal Bank of Scotland che premevano per far rientrare 1,6 miliardi di finanziamenti mettendo così a rischio il castello di carta del finanziere, dentro cinque banche tricolori per alcune delle quali il terremoto che deriverebbe da una sua eventuale caduta avrebbe effetti più devastanti che il semplice «default» di un debitore. Tutto si sistemerà, è la previsione scontata. Con la nuova iniezione di capitali che arriverà entro fine mese Zaleski manterrà il suo indebitamento netto di 5,4 miliardi di fronte a un portafoglio di azioni quotate che adesso vale poco più di 3 miliardi. Poi, con molta calma, si incomincerà a smontare l’impero di partecipazioni, stando soprattutto attenti che non finiscano nelle mani sbagliate: il 5% di Intesa-Sanpaolo – che malgrado le smentite potrebbe finire alle Fondazioni - un 2% delle Generali su cui non mancano gli appetiti, un altro 2% di Mediobanca che andrà affidato ad acquirenti con adeguato pedigree, una bella concentrazione di interessi bresciani con il 2% di Ubi banca e il 19% di Mittel, una tranche energetica che comprende il 10% di Edison e il 2,5% di A2A. Ma come ha fatto monsieur Zaleskì a far diventare la decotta Tassara di Breno, provincia di Brescia, uno degli snodi della finanza italiana? Con molte operazioni fortunate, tanto fiuto e qualche operazione spericolata. Come nell’estate del 2001, scalata Montedison. Zaleski, tramite Mittel, compra robusti pacchetti di azioni che poi finiranno in mano ai francesi di Edf. Polemiche, spezzatino e alla fine di tutto una robusta plusvalenza da un miliardo per il finanziere. Anche un battibecco con Bazoli, che di Mittel è presidente e, ufficialmente, resta all’oscuro di tutto. La pace arriva presto. Zaleski resta primo azionista di Mittel e si portò a casa anche il 20% di Maaldrift che era dei bresciani - miniere di manganese che ora finiranno alle banche -. Per il vero salto di qualità bisogna aspettare il 2006. In quell’anno la Tassara fa capolino tra gli azionisti rilevanti di Generali e, nell’estate, succede qualcosa che cambierà il panorama della finanza italiana. La fusione tra Banca Intesa e Sanpaolo Imi e la nascita della più grande banca tricolore. Zaleski si posiziona subito e prende un 2,5% del Sanpaolo. Poi sale ancora e per farlo s’indebita sempre di più. C’è un articolo del codice civile, il 2358, che vieta alle società di fornire prestiti per comprare azioni proprie o accettare azioni proprie in garanzia. Basta comprare le azioni di ”A” con i soldi di ”B”, dando in pegno in pegno a ”B” le azioni ”A”. Nella versione camuna il gioco dei pegni è molto più complicato. Caso pratico: dopo la fusione con Sanpaolo, i francesi del Credit Agricole che di Intesa erano i primi azionisti devono alleggerirsi e vendere una parte della quota. Ma quelle quote devono andare in mano a persone fidate, senza rompere i delicati equilibri tra le fondazioni azioniste di Sanpaolo e Intesa. Il compratore è la Tassara di Zaleski, grazie a una linea di credito da 1 miliardo concessa da Royal Bank of Scotland (Rbs). Sale fino al 5,8% del capitale. Agli scozzesi vanno in pegno azioni Intesa Sanpaolo. Con i soldi di Rbs, la Tassara compra anche Telecom e Monte dei Paschi. Azioni che vanno in pegno a Ubi Banca. Alla fine del gioco dei pegni incrociati, Zaleski ha il 5% di Intesa con la quale è esposto per 1,7 miliardi, l’1% (era accreditato di una quota fino al 4%) di Mps con il quale è esposto per 320 milioni, il 2% di Ubi - esposto per 200 milioni -, l’1,9% di Banca Popolare di Milano - esposto per 170 milioni -. Il gioco dei pegni incrociati Finché il mondo è un posto meraviglioso dove le borse salgono e i finanzieri si arricchiscono, grazie a questo gioco Zaleski arriva a detenere partecipazioni per oltre 12 miliardi di euro, sparpagliate tra Italia, Francia, Olanda, Lussemburgo, Polonia, Africa, Cina. E in parallelo prosegue il sodalizio bresciano: ultimo esempio appena nel luglio scorso, quando dopo mille traversie la Mittel conquista la Hopa che fu di Chicco Gnutti. Poi il mondo felice finisce e mentre Zaleski pensa alla sede del Museo del tessuto di Milano, alla quale donare la preziosa collezione di tappeti orientali, a trattare con le banche resta il ragionier Mario Cocchi, 55 anni, da Breno. Fido braccio destro di Zaleski, che da qualche anno è anche azionista della Tassara. Zaleski ci tiene. Tra gli azionisti della Metalcam figurano, da qualche mese e tramite un complicato gioco di scatole societarie, gli operai della azienda siderugica. Doveva essere una della società da dare in pegno alle banche per i nuovi prestiti, ma non sarà così. La Metalcam è già in pegno - a Unicredit, Banco di Brescia, Popolare di Bergamo e Banca di valle Camonica -. Anche le quote degli operai. Salvare Zaleski per salvare il sistema, dunque? Le banche negano, ma anche a loro giudizio l’operazione non pare essere di quelle da mettere in risalato. Specie adesso che le stesse banche sono si apprestano a ricevere corpose iniezioni di capitali pubblici. Ecco così Alessandro Profumo, l’ad di Unicredit, precisa come anche dopo il salvataggio l’esposizione della sua banca verso Zaleski non aumenterà. E chi aumenterà invece la sua esposizione, come Intesa-Sanpaolo? Nessun commento ufficiale, ma ai piani alti della banca trapela l’«imbarazzo» per l’operazione - peraltro approvata all’unanimità dal consiglio di gestione - che di fatto puntella un grande azionista della banca. Lui, Zaleski, per ora tace. Lo hanno visto in Cina ai Mondiali di Bridge. E adesso in Polonia sua figlia Helene cura l’ambizioso sviluppo della Alior Bank. In fondo, per l’uomo che le banche italiane non lasceranno affondare, che cosa c’è di meglio di una banca in proprio. Francesco Manacorda, Gianluca Paolucci