Luca Vinciguerra, Il Sole-24 Ore 19/11/2008, pagina3, 19 novembre 2008
Il Sole-24 Ore, mercoledì 19 novembre La Cina scavalca il Giappone e diventa la principale detentrice del debito pubblico americano
Il Sole-24 Ore, mercoledì 19 novembre La Cina scavalca il Giappone e diventa la principale detentrice del debito pubblico americano. Secondo i dati diffusi ieri dal Tesoro Usa, a fine settembre lo stock di Treasury Bond sottoscritti da Pechino era di 585 miliardi di dollari, contro i 573 miliardi investiti da Tokyo. Nonostante i morsi della crisi, quindi, il Dragone continua a riporre la sua fiducia in Washington: nel giro di un mese, la Cina ha acquistato titoli del debito pubblico Usa per oltre 40 miliardi. stata proprio l’incertezza che grava sui mercati a spingere i tesorieri cinesi a orientare i loro ultimi investimenti in valuta estera verso un porto sicuro come i T-Bond, in cui oggi Pechino ha immobilizzato oltre un terzo delle sue riserve valutarie. La notizia arriva subito dopo il vertice del G-20. Forse, quando sabato scorso si è accomodato al tavolo dei grandi a Washington, Hu Jintao sapeva già che la Cina era diventata la principale creditrice degli Stati Uniti. anche per questo, in fondo, che il presidente cinese è stato invitato a partecipare al summit straordinario. Continua u pagina 3 Tuttavia, la sensazione è che i grandi del pianeta debbano aggiungere stabilmente un posto a tavola anche quando l’emergenza finanziaria sarà superata. Il ciclone che ha sconvolto il capitalismo mondiale ha infatti spazzato via ogni dubbio sul ruolo di Pechino: la Cina deve stare di diritto tra i grandi del mondo e condividerne le scelte nella governance dell’economia globale. Deve starci per diverse ragioni. Per i numeri che oggi il Paese è in grado di esprimere, non più solo in termini demografici, ma anche economici e finanziari. Per il cruciale ruolo geopolitico assunto da Pechino negli equilibri del Nordest asiatico, e anche di una parte consistente dell’emisfero Sud. Perché il mondo industrializzato, messo in ginocchio dalla peggiore crisi finanziaria degli ultimi ottant’anni, non può fare a meno degli investimenti, dei consumi e della liquidità cinese. E deve starci anche per un’altra ragione, che solo qualche mese fa sarebbe suonata come un’assurdità: perché ha deciso che è giunta l’ora di starci. Finora, la Cina ha mostrato grande fair play nella partita aperta a livello globale dalla crisi dei mutui subprime. Fatta eccezione per qualche frecciata lanciata da esponenti del mondo finanziario cinese sulle responsabilità del disastro, Pechino ha sempre tenuto la bocca chiusa. Come se nulla fosse mai accaduto. Eppure, i cinesi avrebbero parecchio di che lamentarsi. Sul piano finanziario il Paese rischia grosso, vista la sua esposizione verso gli Stati Uniti. Un’esposizione che, secondo fonti di stampa cinesi (mai smentite), non è costituita solo dai 573 miliardi di dollari di Treasury Bond, ma anche da una cifra analoga che sarebbe stata investita in titoli di società americane, tra cui anche Freddie Mac e Fannie Mae. Sul piano economico, invece, la Cina si ritrova invischiata in una serissima crisi congiunturale. Una crisi per la quale rischia di pagare un prezzo elevato, come indicano gli ultimi dati di produzione industriale, scambi commerciali e prodotto interno lordo. In questo quadro, Pechino non può certo permettersi di delegare ai responsabili della catastrofe finanziaria la riscrittura delle regole che dovranno disciplinare la governance dell’economia globale. Ecco perché è sua ferma intenzione partecipare attivamente alla grande riforma prossima ventura degli organismi economici internazionali. La leadership cinese è convinta di poter recitare un ruolo di primo piano nella messa a punto del "nuovo ordine" planetario. Una convinzione che deriva dalla consapevolezza di non essere mai stata tanto forte come oggi. In queste ore, nonostante le preoccupazioni per l’evoluzione della crisi finanziaria internazionale, la Cina ha la percezione che sia in atto una svolta politica epocale destinata a spostare il baricentro del potere verso Oriente. un’occasione unica che la nomenklatura cinese non vuole perdere. Ma, ancora una volta, Pechino sembra intenzionata a giocare la partita con il massimo fair play. L’approccio è stato esemplare: finora il Governo cinese ha mostrato grande senso di responsabilità e ha fornito la più ampia disponibilità a collaborare con la comunità internazionale nell’opera di stabilizzazione dei mercati. Resta da vedere cosa accadrà dopo la crisi. Una volta passata la tempesta, la tentazione di approfittare dei nuovi rapporti di forza negli assetti politici globali potrebbe diventare irresistibile per una classe politica che, tra soli quattro anni, sarà costretta a uscire definitivamente di scena. Luca Vinciguerra