Andrea Scarpa, Vanity Fair 26/11/2008, 26 novembre 2008
Dal 1992 al 1997 Gigi D’Alessio ha vissuto cantando ai matrimoni dei camorristi: «Se A Napoli fai il cantante, e cominci a essere un po’ conosciuto, è inevitabile finire in quel giro
Dal 1992 al 1997 Gigi D’Alessio ha vissuto cantando ai matrimoni dei camorristi: «Se A Napoli fai il cantante, e cominci a essere un po’ conosciuto, è inevitabile finire in quel giro. Poi un conto è fare il proprio lavoro, un altro essere colluso. A certi banchetti ho incontrato anche colleghi come Renato Carosone o Riccardo Cocciante. Tutte le foto in cui mi si vede con qualche boss sono state scattate durante quelle feste. Che cosa potevo fare. rifiutarmi di posare con loro? Lo sa quante volte sono stato minacciato di morte? A Napoli mi fermavano ovunque, dicendomi di tutto». Che cosa? «"Se non vieni alla festa per il matrimonio di mio figlio ti taglio la gola”, "Se non canti al battesimo di mio nipote ti spacco la tesat...”. Ci andavo, eccome se ci andavo. Sono arrivato a fare quindici feste al giorno: dall’ora di pranzo all’alba». Quanto la pagavano? «Ho iniziato con 400 mila lire a festeggiamento e sono arrivato a un milione e 200. Spesso, però, non mi pagavano. E io ovviamente non protestavo». *** Gigi D’Alessio ha comprato a Roma una villa con piscina dove ha fatto costruire uno studio di registrazione. Fra le sue automobili c’è anche una Ferrari. *** Il momento peggiore della sua vita: «Nel Duemila, quando non avevo i soldi per pagare i nastri su cui avevo registrato le canzoni dell’album "Quando la mia vita cambierà". Dovevo andare per la prima volta a Sanremo e avevo fretta di far stampare i dischi. Al titolare dello studio, un personaggio noto, avevo chiesto dieci giorni di tempo. Fu irremovibile, non me li consegnò. Per mettere insieme qui 14 milioni di lire dovetti vendere il pianoforte che mi aveva regalato mamma a 1 anni. E qualche mese prima, per pagare i musicisti, avevo venduto il terreno del cimitero dove prima o poi avrei voluto costruire una piccola cappella per mamma, morta quando avevo vent’anni». Chi era il titolare dello studio? «Peppino Di capri. Ma non lo scriva».