The Economist, 15 Novembre 2008, 19 novembre 2008
A metà ottobre è iniziata a emergere una massa di imbarazzanti e-mail delle agenzie di rating. Tra le altre c’era ad esempio questo scambio di battute tra due analisti: ”Quell’operazione è ridicola, non dovremmo classificarla” scriveva uno
A metà ottobre è iniziata a emergere una massa di imbarazzanti e-mail delle agenzie di rating. Tra le altre c’era ad esempio questo scambio di battute tra due analisti: ”Quell’operazione è ridicola, non dovremmo classificarla” scriveva uno. ”Noi classifichiamo tutto…potrebbe essere un affare pensato da delle mucche e noi lo classificheremmo comunque” rispondeva un collega. Una conversazione imbarazzante che ha riportato l’attenzione sul conflitto centrale all’industria del rating: i rating sono considerati dagli investitori e dai regolatori delle valutazioni imparziali, ma le agenzie di rating sono pagate da quelli che devono giudicare. Con i loro timbri di approvazione stampati su quasi tutti i titoli tossici che stanno devastando la finanza mondiale, le agenzie sono state accusate di avere contribuito a generare la crisi. Una parte di quel tipo di critica è presto rientrata, ma tra quelli che non hanno perdonata i colossi del rating c’è Charlie McCreevy, il commissario europeo per il mercato interno. Così il 12 novembre il commissario ha presentato un progetto di legge per regolare il sistema del rating e porre fine a quella che ha definita ”la vita privilegiata” delle varie agenzie. Tra le regole proposte da McCreevy, una darebbe alle autorità degli stati dell’Unione la possibilità di intervenire sui rating che non approvano, come ad esempio il downgrade di una compagnia aerea nazionale. Ma la mossa di McCreevy, che intende portare una stretta alla registrazione e alle regole per le agenzie, potrebbe andare nella direzione sbagliata. Le agenzie di rating hanno già troppo potere e troppa influenza, hanno accesso a informazioni che gli investitori tradizionali non conoscono, hanno un posto speciale nel sistema finanziario perché i loro giudizi sono determinanti nella gestione di banche, assicurazione, fondi pensione. Questo sistema ha prodotto un oligopolio che mette gli utenti dei rating in una posizione di falsa sicurezza e dà adito ad azzardi sui mercati: gli investitori tendono a fidarsi dei rating più che delle loro stesse analisi. Ma i privilegi sono arrivati senza l’accompagnamento di una richiesta di responsabilità. Quando le agenzie sbagliano invocano la libertà di pensiero, dicendo che i loro rating non sono altro che l’espressione libera di un’opinione. Quindi stringere ancora il sistema del rating potrebbe fare accrescere queste contraddizioni chiudendo le porte alla nascita di altre agenzie e facendo apparire quelle che già ci sono ancora più infallibili. Sarebbe meglio se avessero avuto meno regolazione, più competizione e l’obbligo di diffondere al pubblico le informazioni privilegiate di cui dispongono. Così tutti avrebbero la possibilità di ottenere quello che tutti sostengono di volere: investitori capaci di pensare da soli.