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 2008  novembre 18 Martedì calendario

Ora basta! Costerà di più, le merci arriveranno in ritardo e i clienti sbufferanno ma la pelle bisogna salvarla»

Ora basta! Costerà di più, le merci arriveranno in ritardo e i clienti sbufferanno ma la pelle bisogna salvarla». Il direttore generale di «Odfjell», un grande armatore norvegese, ha alzato bandiera bianca: le sue navi torneranno alla rotta dei tempi di Vasco de Gama, quando - dove oggi c’è il Canale di Suez - i cammelli zampettavano sulle dune. Ci vorranno da 6 a 12 giorni in più: non sono dettagli in un settore dove il tempo è denaro e la concorrenza feroce. L’esempio di un armatore che ha 92 navi che filano a tutto vapore rischia di esser contagioso. Pensare che all’inizio con i loro barchini da abbordaggio questi «fratelli della costa» versione somala sembravano un’esotica stramberia salgariana. E invece ieri hanno dato l’assalto a una superpetroliera saudita, la «Sirius Star» che appartiene all’«Aramco», il gigante dell’oro nero che viaggia con bandiera liberiana. E’ la più grande nave mai finita finora nelle mani dei pirati. Navigava a 800 chilometri dal porto keniano di Mombasa, in pieno Oceano indiano. La svogliata Quinta flotta americana, che dovrebbe fare la guardia, ha dato la notizia. Ora due milioni di barili di petrolio (che valgono sul mercato 100 milioni di dollari), l’equivalente del consumo giornaliero della Francia, sono in viaggio verso le coste somale. E proprio il portavoce della Quinta Flotta, il luogotenente Nathan Christensen, ha fornito i dettagli. Ha precisato che la nave stata presa d’assalto a 450 miglia a sud-est di Mombasa, in Kenya. Sempre secondo Christensen, la nave assaltata si sta dirigendo verso il porto di Eyl (in Somalia), feudo dei pirati dove già diverse navi catturate sono state tenute in ostaggio. «L’attacco è avvenuto molto più lontano del solito - ha osservato preoccupato Christensen -: i pirati hanno allargato il loro raggio d’azione». Finora le flotte irte di missili e cannoni in servizio di pattugliamento non hanno ottenuto grossi risultati. Solo un incrociatore russo che appropriatamente si chiama «Intrepido», ha usato l’artiglieria mettendo in fuga i corsari. Domenica è stata rilasciata, dopo l’incasso, una nave giapponese in ostaggio da sei mesi. Il Puntland, il regno dei pirati, sembra inespugnabile. Clan e famiglie che all’inizio hanno imbastito un domestico business criminale: armi, vedette veloci, scialuppe e finti pescherecci e cargo anonimi che pattugliano il mare alla ricerca di prede. Ma quello è stato solo l’inizio: ora il Puntland è la capitale mondiale dell’estorsione marittima, la pirateria è diventata una società e un modo di vita. Persino i Lloyd’s sono raccapricciati, con tutta la loro britannica prosopopea. Le prime prede furono le panciute navi del Programma alimentare mondiale. Nella stiva c’è il cibo quotidiano per più di un milione di somali che una tenace guerra civile apparenta da decenni alla carestia. Lavoro facile, pazienza se lascia l’antipatica sensazione di rubare a se stessi. Ma i pirati non hanno rimorsi; e poi 750 mila dollari di riscatto per ogni nave e equipaggio sono una bella somma. L’Onorata Società del Puntland ha deciso comunque di diversificare: sotto con porta-container, velieri di lusso, tutto quello che galleggia nel mare di Aden e nell’Oceano Indiano, perfino una nave ucraina carica di carri armati. Bilancio: 83 battelli quest’anno. Sarkozy che crede di esser ancora al tempo della cannoniere, ha fatto liberare uno yacht dai commandos. E ora i corsari che erano gentilissimi con gli ostaggi hanno l’ordine di lavorare di mitra al primo segnale di pericolo. Nel Puntland tutto ruota ormai attorno a questa camorra strozzinesca. Si assaltano le navi, si traffica in armi per i fondamentalisti che cercano di riprendere il potere a Mogadiscio, si traffica in uomini trasportando i clandestini verso lo Yemen. Si preleva il pizzo sui battelli da pesca spagnoli e francesi. Coloro che un tempo accudivano una pesca miseranda hanno trovato il gusto della braveria. E alla luce del sole. I piccoli cantieri lavorano a costruire e riparare i barchini da assalto, ristoranti e alberghi ospitano gli ostaggi, centinaia, in attesa del riscatto; si guadagnano fino a 5000 dollari al mese nelle società per azioni che si sono date beffardi nomi di fantasia: «Giovani guardacoste della Somalia» o «marines somali». All’inizio si facevano pagare i riscatti con la «hawala», il sistema bancario islamico. Adesso esigono il contante. Delle banche, anche se piissime, non ci si può fidare. Domenico Quirico