Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2008  novembre 19 Mercoledì calendario

ANREA SCANZI PER LA STAMPA DI MERCOLEDì 19 NOVEMBRE 2008

Forse la vera notizia è che Mariano Apicella ha un altro estimatore oltre al premier: «Sarei onorato di scrivere una canzone con il Cavaliere, ma c’è già chi lo fa. Mariano fa un gran lavoro».
A parlare così è Gigi D’Alessio in un’intervista a Vanity Fair destinata a far discutere per motivi non esattamente musicali: i rapporti del cantante con la camorra, l’argomento più chiacchierato della sua carriera insieme alla relazione con Anna Tatangelo (di vent’anni più giovane). D’Alessio ha detto di non essere minimamente pentito di aver suonato, dal 1992 al ”97, alle feste di boss camorristi: «Se a Napoli fai il cantante e cominci a essere un po’ conosciuto, è inevitabile finire in quel giro. Poi, un conto è fare il proprio lavoro, un altro è essere colluso».
D’Alessio ha fatto i nomi di altri musicisti: «A certi banchetti ho incontrato colleghi come Renato Carosone o Riccardo Cocciante. Tutte le foto in cui mi si vede con qualche boss sono state scattate durante quelle feste. Che cosa potevo fare: rifiutarmi di posare con loro? Tante volte sono stato minacciato di morte: ”Se non vieni a cantare alla festa per il matrimonio di mio figlio, ti taglio la gola”, ”Se non ci canti le tue cose al pranzo per il battesimo di mia nipote, ti spacco la testa”... E c’era chi preferiva invitarmi concentrandosi sul naso, le gambe, la lingua, le mani. Sono arrivato a fare 15 feste al giorno: dall’ora di pranzo all’alba».
L’incubo camorra, secondo D’Alessio, la cui storia ricorda sempre più quella di Mario Merola (del quale era il pianista), sarebbe finito «dopo il concerto del 7 giugno 1997 al San Paolo, una specie di miracolo. Feci tutto da solo, di notte andavo in giro ad attaccare anche i manifesti sui muri. Da allora feci sapere a tutti che non avrei più cantato a una festa. E così è stato. Non ho mai sgarrato. Se in questi anni avessi detto ”no” a qualcuno e ”sì” ad altri, avrei passato guai seri».
Non è la prima volta che le vicende di D’Alessio s’intrecciano con quelle giudiziarie. Ad aprile è stato condannato a 9 mesi per avere picchiato un paparazzo nella sua villa dell’Olgiata (stessa pena a un suo collaboratore, Antonio De Maria, con precedenti penali). Difficile immaginarlo un fan di Roberto Saviano, che in Gomorra parla anche di lui: «Non ho avuto né il tempo né la voglia di leggerlo. Di quello che racconta so già tutto. E so anche che c’è scritto che dalle finestre delle case dei boss si sentivano le mie canzoni. Io, pur avendo frequentato per forza di cose quel mondo, non mi sono mai sporcato».
Nell’intervista, oltre a prendersela con Fabrizio Del Noce per non aver mantenuto la promessa di fargli condurre due serate speciali su RaiUno con la Tatangelo, D’Alessio ha anche rivelato il già noto: la sua collocazione politica. «Sono di destra, anche se ammiro Bassolino, Bertinotti e Rutelli. Ho votato Berlusconi: mi piace come uomo e come politico. Quando ho fatto l’inaugurazione della mia villa a Roma, il Presidente mi ha fatto l’onore di venire. C’erano pure Mastella e Storace». Tuttavia, non senza inusitato coraggio, D’Alessio ha azzardato perplessità sul valore artistico di Berlusconi: «Il Cavaliere mi sembra più bravo come poeta che come autore. I suoi testi sono un po’ smetricati». Parole forti: neanche Veltroni ha mai osato tanto