vari, 19 novembre 2008
CHIARA MAFFIOLETTI PER IL CORRIERE DELLA SERA DI LUNEDì 17 NOVEMBRE 2008
Si possono vincere computer, viaggi, buoni spesa, batterie di pentole, automobili, perfino autobus. E, naturalmente, tanti, tantissimi soldi. Basta avere un pizzico di fortuna. la promessa della tv: dei numerosi quiz, concorsi e giochi a premi che affollano i palinsesti delle principali reti nazionali.
Ogni giorno, almeno 11 ore di programmazione sono occupate da programmi che fanno sognare vincite facili in grado se non di cambiare la vita di darle almeno una bella mano. Solo Canale 5 mette in palio oltre un milione di euro al giorno. Raiuno più di 800mila. una gara a chi offre di più, a chi spinge più su l’asticella del «montepremi ». Una lampada di Aladino catodica dove non bisogna strofinare ma telefonare: tanto basta perché poi, altrettanto magicamente, «il fortunato telespettatore che ha trovato per primo la linea» si ritrovi nella condizione di vincere potenzialmente qualunque cosa. la televisione «gratta e vinci». Una televisione «attraente» ma fortemente «diseducativa» e «pericolosa», almeno secondo uno studio promosso da Comunicazione Perbene, associazione per l’ecologia della comunicazione. Dal 19 al 25 ottobre scorsi sono stati monitorati i palinsesti delle principali reti nazionali (Rai e Mediaset). Quindi, un pool di 100 esperti tra psicologi, psicopedagogisti e sociologi ha analizzato i dati raccolti. Dalle 8 del mattino alle 24, le principali sei reti nazionali su 144 ore di programmazione dedicano oltre 11 ore a programmi che promettono facili vincite, con picchi di giorni in cui si superano le 15 ore. Quotidianamente, la somma di tutti i montepremi supera i 2 milioni di euro. Solo Gerry Scotti, con «Chi vuol essere milionario» mette in palio ogni giorno un milione di euro. Raiuno supera gli 815 mila euro con cinque programmi, dal mattino fino ad «Affari tuoi». Il gioco dei pacchi da solo ha come montepremi 500 mila euro. Quello messo in atto da questa tv sarebbe un vero e proprio «bombardamento» che secondo gli psicologi (69%) può avere effetti «pericolosissimi» sul pubblico. Il 58% degli intervistati annovera questi programmi tra i più diseducativi della tv, colpevoli di creare frustrazione (39%), non promuovere i veri valori (56%) e dare un’immagine falsata della vita reale.
Più a rischio sono gli adolescenti (71%), mentre il fattore più diseducativo è nella sproporzione capacità-vincite (62%). «La tv rappresenta il media più potente, questo comporta una responsabilità che spesso il piccolo schermo dimentica, ovvero promuovere messaggi educativi – sottolinea Saro Trovato, presidente di Comunicazione Perbene ”. Oggi basta accendere la tv per assistere a programmi che regalano cifre esorbitanti». Rispetto al passato, il cambiamento starebbe proprio nella frequenza di questo tipo di trasmissioni (41%): si è persa l’eccezionalità dell’evento, così come era ai tempi dei grandi quiz di Mike Bongiorno. Ora la percezione diffusa è che la dea bendata si sia fatta molto meno schizzinosa, ormai pronta a baciare chiunque e in ogni momento. A riprova, una rapida scorsa del palinsesto. un fiorire di programmi con montepremi milionari: su Raiuno in «Carràmba che fortuna », Raffaella Carrà promettere vincite fino 750mila euro (oltre agli altri 800mila offerti quotidianamente dalla rete); Enrico Papi su Italia 1 ne «regala» 100mila, basta girare la ruota della fortuna e incrociare le dita. C’è poi «Paperissima» che, su Canale 5, mette in palio 100mila euro per chi ha avuto la fortuna di girare un filmato divertente, o ancora «Mattino in Famiglia » che, su Raidue, offre qualche centinaia di euro per risolvere un cruciverba e «Mezzogiorno in Famiglia» che fa «sfidare » i diversi comuni italiani per vincere un pullman (dal valore di circa 150mila euro).
E ancora, lo zaino a pannelli solari di «Geo & Geo», la batteria di pentole de «La prova del cuoco», il carrello di libri di «Per un pugno di libri», i buoni spesa di «Occhio alla spesa», i chilometri di viaggio di «Alle Falde del Kilimangiaro». Gli esempi sono moltissimi. Ed è così che – escludendo i reality che pure promettono importanti vincite semplicemente «votando» («La Talpa » di Italia 1, ad esempio, mette in palio 200mila euro) – la tv ogni settimana fa segnare un montepremi totale di oltre 15 milioni di euro: più due milioni di euro messi in palio al giorno, 84.272 euro ogni ora, 1.404 euro ogni minuto, 23 ogni secondo.
Cifre che, in tempo di crisi, inevitabilmente ingolosiscono ancora di più. Non c’è da stupirsi dunque se esiste chi dell’inseguire la fortuna in tv ha fatto un’arte. O meglio, un mestiere. Carmela Giardina, 49 anni, ha costituito una sorta di società con tre delle sue cinque figlie, a Canicattì. Insieme non si perdono un quiz, un concorso, un gioco a premi. Organizzate meticolosamente, telefonano, giocano e vincono. «Ho iniziato oltre vent’anni fa con la tv, ma poi ho esteso a tutti gli altri tipi di concorsi », racconta la signora al telefono. cortese ma spazientita: «Si sta parlando troppo di questa storia, si crea concorrenza...non possiamo sentirci un’altra volta?». Solo una domanda: secondo lei è vero che i giochi a premi in tv sono dannosi? Crede sia fondato il timore degli esperti secondo cui questi programmi veicolerebbero un messaggio distorto, tipo che si può avere successo, vincere tanti soldi, possedere beni di lusso pur non avendo particolari meriti? «No, non sono d’accordo. Per vincere i concorsi tv serve astuzia, costanza e un pizzico di fortuna. Per noi è come andare a scuola ogni giorno. Però mi scusi, adesso la devo proprio salutare, sono rientrata ora in casa da un viaggio a Capo Verde...è l’ultimo che ho vinto». Ecco, appunto.
ALDO GRASSO PER IL CORRIERE DELLA SERA DI LUNEDì 17 NOVEMBRE 2008
La sera stessa in cui Edipo risolse l’enigma della Sfinge si aprì un ampio dibattito. I seguaci di Socrate si batterono perché gli indovinelli restassero in ambito esoterico mentre i seguaci di Platone erano per la diffusione di massa del rompicapo, pensavano addirittura a un "thranos", parola che oggi, con molta disinvoltura, si potrebbe tradurre con format.
La sera in cui Mike Bongiorno consegnò i primi 5 milioni a un vincitore di "Lascia o raddoppia?" (era il 1956), in Italia si aprì un ampio dibattito. Un intellettuale raffinato come Nicola Chiaromonte scrisse che il quiz mette in scena l’idea superstiziosa che della cultura hanno gli ignoranti e forse anche certe élites: "non è poi tanto male che se ne faccia pubblico ludibrio". Carlo Levi, l’autore di "Cristo si è fermato a Eboli", si sentì invece in dovere di certificare che "mille nuovi Edipi, ogni settimana, affrontano la Sfinge, liberano il mondo e la propria anima dai mostri della confusione: si sentono testimoni del valore pratico e del valore assoluto del sapere".
Le espressioni inglesi "quiz show" e "game show" indicano il gioco a premi, centrato su una o più prove di abilità, conoscenza, memoria o fortuna, definite da un regolamento e finalizzate a uno scopo (normalmente un premio in denaro, in gettoni d’oro o in qualsiasi altra forma), che coinvolgono uno o più concorrenti. Questo fortunato genere di derivazione radiofonica che, fra alti e bassi, rinnovamenti e ritorni, attraversa l’intera storia della tv, nasce negli Usa nella seconda metà degli anni ’40. Twenty Question, basato sul vecchio gioco di salotto "animale, vegetale o minerale" e trasmesso per radio fin dal 1946, finisce su Nbc nel novembre 1949. Dal 1950 Groucho Marx conduce, sempre su Nbc, You bet your life. Due anni più tardi è il turno di Two for money. Il successo e la spettacolarità dei quiz show vengono ulteriormente facilitati da una sentenza della Corte Costituzionale del 1954: stabilisce che i giochi a premi basati sulla presenza di un jackpot - cioè di un consistente premio - vengano rimossi dalla categoria dei giochi d’azzardo. Nascono così i cosiddetti "big money quiz show", giochi a premi caratterizzati appunto da una grossa somma di denaro messa in palio. Il produttore della Cbs Louis Cowan, con la collaborazione di uno sponsor (la Revlon Cosmetic) mette allora a punto un "jackpot quiz show" basato sul precedente programma radiofonico Take it or leave it. Nasce così, nel 1955, The $ 64.000 Question (cui si ispira anche il nostro Lascia o raddoppia?), seguito poi da altri programmi affini, come Twenty One e The big surprise.
Anche in Italia, da "Lascia o raddoppia?" all’"Eredità" o a "Chi vuol essere milionario?", il quiz è uno dei generi più forti. Proprio in questi giorni è uscito da Bompiani un curioso libro di Fernando Sallustio, già supercampione di "Passaparola". Si chiama "Un popolo di concorrenti. 50 anni di storia d’Italia attraverso i telequiz" e passa in rassegna i quiz più fortunati della nostra tv, con corredo di domande.
Da tempo, il quiz rappresenta una concezione filosofica della conoscenza. C’è chi lo ha sempre accusato di rappresentare un sapere imparaticcio, di scarso valore. E c’è chi, invece, come Tullio De Mauro, ha sempre sostenuto che gli italiani hanno imparato l’italiano anche con i quiz di Mike. Tant’è vero che in Italia la missione pedagogica del quiz classico entra in crisi con l’elevazione dell’obbligo scolastico alla terza media. Un pubblico scolarizzato non vuole più apprendere, desidera solo intrattenersi, magari con un game show, come "La ruota della fortuna", che richiede destrezza ma soprattutto una buona dose di fortuna.
Il quiz classico propone un sapere specialistico: lo spettatore, per divertirsi, deve condividere la passione del concorrente. Mike chiedeva il nome della profetessa di uno dei più famosi carmi del libro dei Giudici (Debora); Gerry Scotti chiede chi è il Marcello azzurro (Lippi).
Se in uno dei tanti quiz che vanno ora in onda venissero riproposte le domande di "Lascia o raddoppia?" ben pochi concorrenti riuscirebbero a superare il primo turno. Il motivo è semplice: erano domande per esperti e presupponevamo una competenza specifica. Non erano per tutti, cioè generaliste: erano riservate ai pochi eroi che sarebbero diventati personaggi televisivi solo a prezzo di sforzi straordinari.
Il neoquiz, invece, è basato sulla cosiddetta cultura generale, su quel bagaglio di nozioni che la scuola dell’ obbligo e più di cinquant’anni di tv dovrebbero ormai aver inoculato in ogni spettatore. Il neoquiz, inoltre, nasce prevedendo la collaborazione della sorte. Ed è proprio la fortuna o l’aiuto esterno (il terrificante "aiutino") o comunque la possibilità limitata di risposte (multiple-choice test) che ne sanciscono il senso ultimo: ogni spettatore è anche un potenziale concorrente.
Ogni tanto risorge anche il problema delle vincite: è giusto o no che la tv elargisca così tanti premi? Il premio è parte integrante del gioco, questo resta indiscutibile. Il fastidio nasce se mai per quei quiz telefonici con montepremi che hanno l’unico scopo di legare alla trasmissione un numero considerevole di persone interessate non ai contenuti del programma ma alla vincita in palio. Tutti i cruciverboni, i fagioloni, le domandone che promettono soldi sono una specie di inganno per attrarre pubblico. Quel "pronto da dove chiami?" è ormai un lamento che sale dalle viscere e preannuncia il peggio: i fastidiosi venditori ambulanti della felicità, quando si accorgono che la "gente" cui si rivolgono è sensibile solo alle telefonate con i gettoni d’oro, possono per un po’ rallegrarsi dei successi della loro invadenza.
A proposito di "aiutini", una delle molle segrete che rendono affascinate il quiz è la possibilità di scoprirne i trucchi, le magagne, le contestazioni. Dai tempi di "Lascia e raddoppia?" e del celebre caso del controfagotto, il ricorso e lo smascheramento sono diventati componenti stesso del gioco. Del resto la figura del Notaio segnala che c’è anche un ordine del sapere passibile d’inganno.
ANTONIO MARANO SUL CORRIERE DELLA SERA DI MERCOLEDì 19 NOVEMBRE 2008
Raidue: l’ammontare dei premi
A proposito dell’articolo apparso nel Focus «La grande illusione dei quiz in tv», (Corriere, 17 novembre) si precisa che la trasmissione «Mezzogiorno in Famiglia», in onda la mattina del sabato e della domenica, mette in palio, come premio finale, per la gara tra le rappresentanze dei Comuni italiani, uno scuolabus del valore di circa 35 mila euro. Il premio, assegnato al termine del ciclo della trasmissione di 74 puntate, in onda per 37 weekend, prevede quindi un impegno di spesa ben diverso dai 150 mila euro settimanali, come indicato nell’articolo. Per quanto riguarda, invece, la sesta edizione dell’«Isola dei Famosi» occorre precisare che il vincitore riceverà un premio di 200 mila euro, con la metà devoluta in beneficenza a un’associazione proposta dal vincitore stesso.
Anche per il reality si tratta di un premio finale che riguarda, in questo caso, un programma di dodici puntate. La somma della spesa per i due premi, alla fine dei rispettivi programmi, sarà quindi di 235 mila euro in totale e non 500 mila euro per settimana come riportato. Si tratta, in conclusione, di una differenza di qualche milione di euro.
Antonio Marano
Direttore Raidue