Eugenio Occorsio, Affari & Finanza 17/11/2008., 17 novembre 2008
Affari & Finanza, lunedì 17 novembre «Let’s start with some unconfortable truths», cominciamo con qualche scomoda verità
Affari & Finanza, lunedì 17 novembre «Let’s start with some unconfortable truths», cominciamo con qualche scomoda verità. E’ l’inusuale incipit di un ampio servizio apparso sui siti web della Cnn e di Fortune (fanno parte dello stesso gruppo editoriale) all’inizio della scorsa settimana. Le verità in questione riguardano la salute di Steve Jobs. Intendiamoci, scrive subito Fortune e lo premettiamo anche noi, Jobs è vivo e vegeto e ben saldo al timone della Apple. Però, nota l’articolo, è apparso spaventosamente pallido e magro nelle sue ultime uscite pubbliche. «Dopotutto è un sopravvissuto ad un’operazione di cancro al pancreas», scrive il sito riferendosi all’operazione che ha subito nel 2004. Tecnicamente pare che Jobs soffra, ci hanno confermato alcuni medici specialisti, di una non infrequente forma di anoressia tipica di chi è stato operato al pancreas. E’ guarito dal cancro, è vero, anche se è inutile nascondersi che quello del pancreas è uno dei tumori più aggressivi e le recidive sono sempre in agguato. Ma gli è rimasta questa sindrome un po’ psicologica e un po’ organica che lo debilita, gli toglie forze, ne causa la sconvolgente magrezza. E c’è il pericolo che gli impedisca fra poco di lavorare. Per cui, con pragmatismo tutto americano, Fortune presenta il successore, che lo stesso Jobs ha peraltro già indicato pur senza specificare i tempi. Si chiama Tim Cook, ed è il numero due dell’azienda. Ha la carica di Coo (Chief operating officer), una posizione che potremmo definire di condirezione generale (a pari livello con il chief financial). Più volte negli ultimi tempi, alle conferenze stampa e agli incontri con gli analisti, dopo un iniziale breve saluto di Jobs ha preso lui la parola e ha condotto la discussione. Già quando Jobs si operò quattro anni fa, per due mesi ebbe in mano l’azienda su delega del capo. Quando si diffusero le voci infondate sulla morte di Jobs in agosto (le riprese Bloomberg che mandò in rete addirittura il "coccodrillo" e fu costretta alle più imbarazzate e contrite scuse), toccò a Cook rassicurare i mercati dove nel frattempo si erano bruciati 10 miliardi di dollari di capitalizzazione per l’alluvione di vendite. A proposito di Borsa, oggi la Apple vale circa 70 miliardi, più di McDonald’s, Merck e General Motors messe insieme. Cook ha 48 anni, cinque meno di Jobs, ed è un fanatico del fitness, rileva forse non a caso la Cnn. Entra in azienda nel 1999 e gli viene assegnato un compito preciso: rimettere ordine nel comparto manifatturiero e distributivo della Apple, che versa in uno stato che lui stesso definirà atrocious. Raggiunge il suo obiettivo andando avanti senza troppi complimenti: chiude gran parte delle fabbriche e dei magazzini di proprietà in giro per il mondo, e invece stabilisce rapporti con contrattisti esterni. Il risultato, ha ricordato lo stesso Cook in un’intervista qualche mese fa, è «perfetto»: il costo del lavoro scende e gli inventari crollano. «Le scorte in magazzino si deteriorano in valore dall’1 al 2% alla settimana in tempi normali, più rapidamente in momenti difficili. Dobbiamo affrontare questo problema come se fossimo un’industria di formaggi: la freschezza è tutto». Esigente e spietato, di Cook si racconta che durante una riunione abbia strillato: «Ma chi abbiamo in Asia? Qualcuno dovrebbe stare in Cina adesso». E poi ha alzato gli occhi verso Sabih Khan, uno dei dirigenti presenti. Che senza fiatare si è alzato, è uscito dalla sala, senza passare a casa per cambiarsi è andato all’aeroporto ed è salito sul San FranciscoShanghai con un biglietto oneway. E’ oggi l’apprezzato capo delle operazioni in Cina. Certo, non sarà facile prendere il posto di una leggenda vivente come Steve Jobs. Succedere a un capo larger than life, come dicono gli americani, insomma ingombrante, è sempre complicato. Prima di ritirarsi nel 2001, Jack Welch, boss superstar della Ge, aveva lungamente ponderato e alla fine aveva scelto Jeff Immelt: più volte è stato costretto a tornare in azienda e a rimbeccare fragorosamente il successore. Dopo il ritiro nel ”92 di Lee Iacocca, mito della Chrysler, Robert Eaton sgretolò la redditività dell’azienda finché fu costretto a venderla alla Daimler nel ”98. E perfino Steve Ballmer, successore di Bill Gates alla guida di Microsoft, si è ripetutamente scontrato con il suo mitico predecessore. E dobbiamo ricordare i traumi della Fiat postAgnelli fino all’intuizione di Marchionne? Ma Jobs è qualcosa ancora di più. E’ letteralmente venerato da milioni di fan in tutto il pianeta come una specie di messia, è sicuramente l’uomo che più di ogni altro impersona il personal computer e l’hitech in generale. L’abbiamo incontrato nel 2000 a Parigi per una delle sue rare interviste oneonone, frutto di mesi di lavoro diplomatico. E’ stato come probabilmente è tuttora simpatico, cordiale, sorridente, affabile nei modi. Quanto di più lontano dall’immagine che di lui avevano dipinto i suoi addetti stampa, intimiditi e imbarazzati, al momento di entrare nella stanza. «Mi raccomando, non fare domande ingenue perché potrebbe innervosirsi». Macché: ha risposto con immutata disponibilità a tutte le questioni, cretine o intelligenti che fossero. «Vuole vedere come funzionano le nostre vendite online?», ha detto ad un certo punto, e si è messo a smanettare su un pc con l’entusiasmo trascinante di un bambino. Dopo la pubblicazione, ci ha fatto avere un biglietto autografo di ringraziamenti concluso con un "to see you in Cupertino". In quel momento, Jobs aveva ripreso in mano l’azienda da tre anni. Aveva fondato la Apple nel 1976 insieme a Steve Wozniak nel celeberrimo garage di casa nella Silicon Valley (appunto a Cupertino), dopo esser stato buttato fuori dal college per indisciplina. E aveva subito raggiunto una fortuna planetaria con i computer Macintosh (il nome di una varietà di mele californiana), padri riconosciuti di tutti i miliardi di pc che riempiono ogni angolo del globo. Era però stato estromesso da John Sculley, che lui stesso aveva chiamato a dargli man forte nel 1985 durante un momento di difficoltà. Sculley pagò cara la sua arroganza con il disastro degli anni successivi, e nel 1997 Jobs era stato richiamato a viva voce dai consiglieri d’amministrazione per salvare la Apple dal naufragio. Così, nel 2000, aveva completato la riorganizzazione, valendosi prima di ogni altra cosa dell’aiuto di Cook. E stava per lanciarsi nella seconda grande avventura della sua vita: nell’ottobre 2001, con l’America scossa dall’attentato alle Torri Gemelle di un mese prima, dette un grande segnale di ottimismo e di buona volontà annunciando proprio a New York con una festa volutamente hypertonic, il lancio dell’iPod. Era una scommessa: i ragazzi di tutto il mondo giravano con i lettori Mp3 stracarichi di musica scaricata abusivamente senza pagare un penny, le case discografiche erano allo stremo, e l’iPod si presentava in un’apparentemente perdente veste "legale": si possono scaricare i brani solo a pagamento dal sito della casa, iTunes, a 99 cent l’uno. Sono stati tali il carisma di Jobs e il potenziale di marketing della Apple, incrociati con un’insperata voglia di legalità affiorata fra i giovani, che l’iPod è stato il successo che conosciamo. Nelle varie versioni, ne sono stati venduti finora 180 milioni di esemplari. Stesso successo per l’iPhone, il telefoninoradiopcfotocamera e tante altre cose, lanciato nell’aprile 2007 e venduto ad oggi in 14 milioni di "pezzi". Oggi Cook segue Jobs in ogni occasione, cura ogni dettaglio, con un misto fra rispetto e affetto. Era dietro le quinte anche due anni fa quando, proprio al lancio dell’iPhone, c’è stato il primo attesissimo incontro pubblico fra Jobs e Bill Gates. I due mostri sacri, insieme sul palco, hanno dato vita ad un evento straordinario, tutto colpi di fioretto, sottili ironie, riferimenti sofisticati. Qualche tempo prima Jobs aveva detto «l’unica cosa che manca alla Microsoft è il design», e stavolta Gates a un certo punto dice: «Peccato non avere il buon gusto di Steve». Jobs era accusato per l’isolamento del sistema Apple, e Gates invece subiva ironia per essersi sempre "attaccato" al carro trainato da altre aziende, Ibm in testa. «Non siamo bravi a collaborare con gli altri - ha detto Jobs - in questo invece Bill è stato eccezionale». E così via. I media hanno dipinto l’incontro come fosse stato quello fra Reagan e Gorbaciov che mise fine alla guerra fredda. Tutto è stato rimarcato, a partire dall’abbigliamento: jeans sdruciti e scarpe da jogging per Jobs, vestito un po’ impiegatizio per Gates. Indovinate chi era più simpatico. Eugenio Occorsio