Gianni Armando Pillon, la Stampa 18/11/2008, 18 novembre 2008
In una società incapace di metabolizzare eventi lieti e tragici senza ridurre tutto a una poltiglia indistinta di immagini, ci mancava solo questo: l’esibizione sfrontata, quasi violenta, del lutto
In una società incapace di metabolizzare eventi lieti e tragici senza ridurre tutto a una poltiglia indistinta di immagini, ci mancava solo questo: l’esibizione sfrontata, quasi violenta, del lutto. A Torino, i parenti degli operai morti nell’inferno dell’acciaieria si presentano al processo indossando delle t-shirt con sopra stampate le foto dei ragazzi arsi vivi. Stessa cosa a Como, dove sotto il giubbotto di pelle rosso di Azouz Marzouk spuntano i volti di moglie e figlio massacrati dai vicini di casa. In un Paese in cui il lutto ha sempre avuto il colore nero del velo delle donne del Sud, questi morti sul petto ci raccontano come tutto - persino la disperazione! - abbia bisogno di un pubblico che ne certifichi non solo l’autenticità, ma la sua stessa esistenza. Si dirà: come il velo nero era un rito che serviva a elaborare il lutto, queste t-shirt non sono altro che lo stesso rito che si ripete, solo adeguato ai tempi. Sarà. Ma quando ieri abbiamo visto quelle donne sfilarsi il golfino, l’immagine dei sette morti della Thyssen ci è apparsa più sbiadita, e ancora più tragica. GIANNI ARMANDO PILLON PER LA STAMPA DI MARTEDì 18 NOVEMBRE 2008