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 2008  novembre 18 Martedì calendario

Rami ha 17 anni e una rabbia che buca lo schermo. Alcune settimane fa ha venduto il fegato per 1800 dollari ma invece dell’assegno ha ricevuto carta straccia

Rami ha 17 anni e una rabbia che buca lo schermo. Alcune settimane fa ha venduto il fegato per 1800 dollari ma invece dell’assegno ha ricevuto carta straccia. Almeno secondo la ricostruzione del quotidiano indipendente egiziano al Badil, in arabo l’alternativa, che due giorni fa ha diffuso un video con la testimonianza di sei adolescenti del Cairo finiti nella rete del traffico d’organi. «Mi hanno pagato con banconote false» afferma Rami mostrando l’addome inciso dal bisturi. Pensava d’aver fatto un affare e ci ha rimesso la salute con gli interessi: «Ho anche anticipato i soldi per le analisi e le radiografie». Di lui non si sa molto di più, ma il direttore di al Badil, Khalid al Balshi, conferma la sua versione ai microfoni della tv al Arabiya: «Dopo la nostra denuncia le forze di sicurezza sono andate all’ospedale al Daqqi del Cairo e hanno trovato altre tre piccole vittime nelle stesse condizioni». Quella del traffico internazionale degli organi è una storia ai confini della realtà, molto dramma della miseria, documentato dall’Organizzazione mondiale della Sanità, e un po’ leggenda dopata da Internet con mille casi virtuali e rarissimi disposti a materializzarsi fuori dal web. Di certo, con un quarto della popolazione sotto la soglia di povertà e due milioni di minori senza famiglia costretti a vivere in strada, l’Egitto è un mercato appetibile per i ladri di bambini. Soprattutto perché qui i trafficanti restano impuniti. L’Egitto, a differenza di altri Paesi islamici come Kuwait, Giordania, Arabia Saudita, Tunisia, non ha ancora una normativa che regoli i trapianti legali: figurarsi un capitolo del Codice Penale che sanzioni quelli illegali. L’unica bozza di legge esistente, che prevede l’espianto dai cadaveri e un minimo di 10 anni di detenzione per il commercio clandestino, è ferma all’Assemblea del Popolo dal 2001. Poco male per gli egiziani facoltosi che tornano a casa come nuovi dalle cliniche di Amman e Riad. Per tutti gli altri c’è la borsa del bisogno e il suo macabro tariffario: 1800 dollari per il fegato o un polmone, 2500 per una cornea. Un rapporto dell’Egyptian Society for Medical Ethics, pubblicato dalla rivista Egypt Today, rivela che «il traffico di organi è arrivato in Egitto negli Anni ’70 incoraggiato dai ricchi arabi del Golfo» e calcola che «il 98 per cento dei trapianti di fegato effettuato al Cairo passa dal mercato nero». Un primato indiscusso secondo il bollettino online Mail&Guardian che recentemente ha definito l’Egitto «lo scalo regionale del traffico d’organi». Una specie di Brasile del Medio Oriente dove un rene costa fino a 1500 dollari, venti volte tanto un chilo di bango, la marijuana locale. «Girando la capitale alla ricerca d’informazioni t’imbatti spesso in mormorii di biasimo tipo "Oh no, ancora la storia del commercio d’organi"» racconta Manal el-Jesri, giornalista di Egypt Today e autore del reportage intitolato «Il mio dottore, il mio macellaio?» con decine di ragazzi come Rami che, dopo l’operazione, vanno a dormire nei quartieri poveri di Sayyeda Zeinab, Madinet El-Salam, El-Gayyara, Mohandiseen. Gli egiziani non ne parlano volentieri. Tabù. Ad eccezione dell’estate scorsa, quando l’Ordine dei medici del Cairo propose di combattere il traffico con la «correligiosità» del trapianto, cristiani che donano solo a cristiani e musulmani tra loro. Il Paese, compresa la chiesa cristiana copta e il consiglio degli ulema, i capi religiosi sunniti, si ribellò e i camici bianchi ritirarono la proposta. Negli stessi giorni Rami veniva avvicinato dal suo broker con la valigetta piena di carta straccia.