Federico Fubini, Corriere della Sera 18/11/2008, 18 novembre 2008
DAL NOSTRO INVIATO
SAN GALLO – Se la vostra idea di finanza risponde ai cristalli a strapiombo di Manhattan, siete nel posto sbagliato. Questa è la Marktplatz di San Gallo: Alpi di Appenzell, sanpietrini e strüdel. Wegelin, la banca che si affaccia all’angolo, non sale più di tre piani e solaio di legno dove si annidano i trader, ma nel tempo va indietro fino al 1741.javascript:posView(111);viewArea(1);
Le scale a chiocciola, i tavoli in noce laccata, i ritratti dei fondatori in parrucca, tutto qui odora di denaro antico. Uno dei conti ancora attivi fu aperto da una famiglia del cantone nel 1780. Alcune fra le posizioni recenti fanno capo invece a certi oligarchi russi ansiosi di mettere i «risparmi» fuori dal raggio d’azione di Vladimir Putin. Ma inutile chiedere nomi, vecchi o nuovi. Konrad Hummler, socio-guida di Wegelin, presidente dei banchieri privati svizzeri, membro del consiglio della banca centrale di Berna, lo prende come spunto per spiegare la logica di ciò che più irrita il resto d’Europa.
«Il segreto bancario ha validi motivi che non riguardano l’evasione fiscale – sostiene ”. Per esempio, la diversificazione di sistema: un risparmiatore russo paga tasse al 13% nel suo Paese, ma potrebbe voler investire qui nel timore di una possibile espropriazione». La stessa paura ancestrale, afferma Hummler, varrebbe per il ceto medio tedesco che si è vista privata dei propri beni troppe volte nell’ultimo secolo: «L’evasione non è l’obiettivo, ma un effetto collaterale».
A dispetto degli eccellenti rapporti tra Silvio Berlusconi e Putin, resta difficile capire se questo calcolo si applichi anche ai molti italiani che varcano le porte di Wegelin. Hummler ci crede: «L’Italia è un esempio di come delle persone possano prosperare malgrado i problemi che lo Stato crea loro – sostiene ”. Solo negli ultimi anni ho sentito nei miei clienti la paura del collasso, da quando l’Italia ha scoperto gli svantaggi dell’euro». Da conoscitore dei suoi clienti, il banchiere cita con venature di tristezza la crisi del tessile di Como.
Ma paradossalmente per lui l’ultimo anno di terremoti finanziari ha anche lati positivi. Il numero di clienti è cresciuto del 20%, perché la bufera su Ubs ha attratto investitori verso piccole istituzioni come la sua: quelle che non si sono fatte sedurre dalla Borsa e dall’«investment banking» anglosassone, «subprime » e altre diavolerie, perché si dedicano a tramandare fortune familiari nelle generazioni. «Non vorrei apparire come un profittatore delle disgrazie altrui», frena Hummler. Perché una Ubs con più dipendenti a Wall Street che a Zurigo, più attenzione nello sfidare Goldman Sachs che sulle radici elvetiche, per lui è un problema del Paese. «In gioco c’è il modello svizzero: è possibile gestire una banca con forti rischi all’estero? saggio? No – attacca il banchiere da San Gallo ”. La Svizzera ha tanti vantaggi, ma anche il limite che non si può espandere all’infinito vista l’indipendenza valutaria e la piccola taglia».
Ma niente equivoci: la globalizzazione abita anche nel solaio della Marktplatz, sotto forma di trader di tutti i continenti (reclutati alla locale università di San Gallo) che investono ovunque nel mondo con un clic. Ma Hummler pensa che per i colossi bancari elvetici sia l’ora di alzare un po’ i ponti levatoi dal resto del mondo, se non altro per limitare i rischi. In proposito si scontra con Walter Kielholz, il presidente del Crédit Suisse: i manager dei grandi istituti non vogliono tornare in provincia.
Eppure almeno su un punto anche Kielholz converrà con Hummler: «Se sopprimiamo l’anonimato, i conti andranno a Singapore. Noi manteniamo il segreto, ma versiamo una ritenuta alla fonte sui profitti da capitale al fisco dei Paesi dei clienti. Siamo una vacca che dà un po’ di latte: se ci macellate, finisce».
K. Hummler
F. Fub.