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 2008  novembre 17 Lunedì calendario

Ma il Pinocchio di Walt Disney è una «boiata pazzesca» o no? In una cortese inversione di parti, è l’americano Edwin Frank, editor della collana di classici della New York Review of Books, a demolire il cartoon, mentre l’italiano Umberto Eco corre benevolmente in soccorso

Ma il Pinocchio di Walt Disney è una «boiata pazzesca» o no? In una cortese inversione di parti, è l’americano Edwin Frank, editor della collana di classici della New York Review of Books, a demolire il cartoon, mentre l’italiano Umberto Eco corre benevolmente in soccorso. L’occasione non è l’uscita in dvd del film restaurato, ma la nuova versione in inglese del romanzo di Collodi, che appare in questi giorni in America, edita appunto dalla NYRB, e firmata da Geoffrey Brock, traduttore americano di Roberto Calasso, di Cesare Pavese e dello stesso Umberto Eco. Proprio a Eco, il letterato italiano più famoso negli Usa, da anni collaboratore della rivista, è stata chiesta un’introduzione al libro. Il quale libro, tanto per chiarire la portata dell’attacco a Disney, è così presentato sul sito dell’editore: «Questa nuova traduzione di Pinocchio vi spazzerà via per sempre dalla testa il personaggio disneyano coi suoi occhioni sgranati . Al suo posto il ragazzo-burattino di Collodi, ingordo, sovversivo, affascinante e una storia onirica che affonda le radici nella commedia dell’arte». E il prefatore Umberto Eco, come reagisce all’attacco? «Ricordo lo sconforto di noi bambini italiani la prima volta che vedemmo al cinema il Pinocchio di Walt Disney», scrive nelle prime due righe del suo intervento. Allineatissimo, parrebbe. Ma ecco la terza riga: «Devo dire subito che, vedendolo di nuovo adesso, lo trovo un film delizioso». All’epoca, invece, «eravamo rimasti scossi dall’assoluta differenza tra il Pinocchio americano e il nostro Pinocchio, quello del testo originale di Collodi e delle prime illustrazioni del libro. (Le più note e amate le aveva disegnate nel 1911 Attilio Mussino. L’immagine che la mia generazione ha di Pinocchio viene da lì.)». Eco va avanti a spiegare agli americani tutte le differenze tra il protagonista del cartoon e il protagonista del romanzo, «più legnoso», quest’ultimo, «un vero burattino», con un berretto a «pan di zucchero» diversissimo dal cappello «tirolese» del collega. Per non parlare del naso, «lungo e affilato anche quando non cresce» ecc. ecc. Quanta grazia! Edwin Frank, invece, nella lettera on line agli abbonati, si scusa per il ritardo con cui è arrivato a leggere «questo libro meraviglioso», ma, spiega, «non c’è dubbio, per quel che mi riguarda, che la disneificazione di Pinocchio abbia agito come deterrente alla lettura. Il libro ce l’avevo in casa, ma ne stavo alla larga. Già sapevo tutto del suo frizzante eroe e delle sue monellerie, che non riuscivano a nascondere quello che era davvero in fondo al cuore, un aspirante perbenista». Piccola, curiosa diatriba confinata al pubblico americano, quella tra il prefatore e l’editor? Sì, ma a ben guardare le posizioni assunte dai due vanno più in là di Pinocchio. Si potrebbe ricavarne quasi una lezione filosofica: chi ha visto la verità, sembra dire Eco, può poi sopportarne travestimenti e parafrasi, apprezzarli, perfino, perché sa «guardare attraverso». Chi ha visto solo parafrasi, dalla verità rischia di essere sviato per sempre, e quando ci arriva, serba rancore per il rischio corso. In conclusione, e per tornare a noi, Pinocchio è meglio leggerlo prima di vedere il film. Dopo, anche il film vi piacerà di più. Stampa Articolo