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 2008  novembre 17 Lunedì calendario

roma Ha lo sguardo come una lama Elio Germano. In una faccia normale, da ragazzo che potrebbe essere il fratello più giovane del tuo migliore amico, colpisce e incanta

roma Ha lo sguardo come una lama Elio Germano. In una faccia normale, da ragazzo che potrebbe essere il fratello più giovane del tuo migliore amico, colpisce e incanta. Arriva trafelato, stravolto dal traffico romano che anche per uno come lui, che a Roma c´è nato, non è una cosa normale. Sorride, si scusa, e capisci quello che è successo al pubblico del film Mio fratello è figlio unico, grande successo dell´inverno scorso. Fiumi di spettatori, e non solo donne, entrati in sala per ammirare gli occhi blu di Riccardo Scamarcio e usciti con il cuore toccato dalla passione per Elio Germano. Del resto, uno che riesce a farti amare il personaggio del picchiatore fascista deve avere qualcosa di speciale. Elio Germano dimostra appena i suoi ventotto anni: magro come un chiodo, capelli arruffati, jeans larghi che sembrano vuoti e zaino sulle spalle. Ma quando parla non ha età: maturo, spiritoso, intelligente e, soprattutto, vero. Si agita sulla sedia, quasi cade all´indietro quando, ridendo delle sue mille disavventure, spiega agitando le braccia nervose quanto è difficile adesso, qui e ora, diventare attore in Italia. Umiliazione e fatica. Passione e rabbia. «Prima di Mio fratello è figlio unico, sulla carta d´identità avevo scritto impiegato: mi vergognavo all´idea che qualcuno mi potesse riconoscere, però io questo mestiere l´ho sempre amato e non certo per dire faccio l´attore ma proprio perché mi piaceva salire sul palco». Da ragazzino era un´ossessione. Non è facile vivere così: andare a scuola, giocare con gli amici a pallone, fare judo ma, in fondo, pensare solo a quello. Esistere per recitare. L´unica occasione di sfogo erano i villaggi turistici dove i genitori, papà architetto e mamma impiegata di banca, lo portavano in vacanza. «Mi lanciavo come un pazzo su tutti i teatrini dei club estivi, provavo per ore mentre gli altri andavano al mare e poi tornavo a Roma e mettevo in croce i miei». A quel punto la decisione di famiglia. Cercare un qualsiasi aggancio per questo figlio così determinato: «Non è una cosa facile, le persone normali non frequentano il giro del cinema. Mio nonno era arrivato dal Molise e a Roma l´avevano arrestato subito, perché non aveva il permesso di soggiorno, ma per fortuna era riuscito a mettersi in regola e aveva trovato lavoro come portinaio in un palazzo del quartiere Prati. Proprio in quello stabile abitava Jole Silvani, un´attrice di Paolo Poli. Per i miei nonni lei era l´attrice, un valore assoluto, ancora ricordo tutti i nomi dei condomini sul citofono e quello della Silvani che secondo me risplendeva più degli altri». Comunque l´attrice gli diede il consiglio giusto: iscriversi a una scuola di teatro. Ripensandoci gli occhi si addolciscono un poco. «Tre pomeriggi la settimana fuggivo dalla mia routine di studente e entravo in un mondo nuovo fatto di Shakespeare, Cechov, esercizi di pronuncia. Da un lato mi sembravano tutti matti, dall´altro era meraviglioso aver trovato una cosa che mi piaceva e che era un´estensione dell´anima di bambino. Erano anni schizofrenici: a casa parlavo romanaccio, a teatro mi esprimevo in versi». Passioni così, però, stravolgono l´esistenza. Allontanano e possono fare male: «I miei erano preoccupati della deriva, del fatto che trascuravo la scuola, gli amici, ero come uno che si è innamorato e ha perso di vista la realtà». E la realtà di Elio non era esattamente da cartolina. Era quella delle periferie romane. Anzi, della periferia, quella di Corviale, il quartiere divenuto famoso perché ci hanno costruito un palazzo lungo un chilometro, da sempre rifugio degli immigrati e degli abusivi. Quando ne parla s´irrigidisce, la lama degli occhi non perdona i finti romanticismi. I tendini sottili del collo sembrano gonfiarsi: «Questa storia di Corviale me l´hanno appiccicata addosso e sembra quasi una favola, io non ci vedo niente d´originale. Sono nato nel quartiere vicino e ci sono rimasto perché comprare casa da un´altra parte sarebbe stato troppo caro. C´è del bello in quei posti estremi ed è che sono rimasti i soli dove ci sono rapporti umani, è come se il degrado migliorasse i sentimenti. Per il resto è solo uno schifo. Non trovi mai un autobus, manca il verde e hanno eliminato le botteghe per costruire mostruosi centri commerciali». Dopo le scuole di teatro per Elio Germano è arrivato il cinema, qualche particina in televisione, le pubblicità. Senza storcere troppo il naso: «La differenza per un attore è rappresentata da chi lavora per mantenersi e chi, grazie ai soldi, può scegliere di fare solo quello che desidera. La povertà aiuta perché insegna che nel lavoro non c´è nessuna vergogna, che non stai rubando niente e se ti fanno delle proposte oscene casomai si deve vergognare chi te le prospetta. Io mi sono confrontato con il mondo reale sin da ragazzo e credo sia la migliore lezione, perché questo è un mestiere che va fatto con le mani». Dopo Il cielo in una stanza, commedia per i fratelli Vanzina, Elio prende il volo: Ettore Scola lo inserisce nel cast di Concorrenza sleale e lo fa lavorare al fianco di Sergio Castellitto, Gérard Depardieu e Diego Abatantuono. Emanuele Crialese lo chiama per Respiro, Giovanni Veronesi lo vuole in Che ne sarà di noi e Michele Placido in Romanzo Criminale. Quindi Abel Ferrara gli offre una parte nel suo Mary e Elio arriva alla mostra del Cinema di Venezia. Gabriele Salvatores e Paolo Virzì lo scritturano per Quo Vadis, Baby? e per N-Io e Napoleone. Di lui Virzì dice: «Un attore straordinario. Basta puntargli la macchina addosso e lasciarlo andare. Sai che qualcosa accade sempre». Ma il successo vero arriva con Mio fratello è figlio unico di Daniele Luchetti, ispirato al romanzo Il fasciocomunista di Antonio Pennacchi. Per quel film vince il David di Donatello come miglior attore protagonista 2007. Di tutta quella gloria un po´ è contento e un po´ ci scherza: «La verità è che la vendibilità di quel film era legata all´immagine di Scamarcio, poi il pubblico ha scoperto che il protagonista ero io e la sorpresa ha giocato a mio favore. Un giorno magari mi capiterà il contrario». Sulla difficoltà di essere un fascista, anche se solo per due ore, invece ironizza tristemente: «Tra i ragazzi di oggi chi dice d´essere fascista non ha nessuna cognizione di causa, i giovani parlano senza senso. Proclamandosi di destra difendono le privatizzazioni e non sanno che Mussolini sarebbe inorridito di fronte alla Gelmini. Il loro unico desiderio è di non essere politicamente corretti, non capiscono che finiscono per essere strumentalizzati e che la politica vera, quella che arriva dall´alto, li usa per mandarli allo sbaraglio». Nel 2008, dopo Nessuna qualità agli eroi, interpreta il personaggio principale de Il mattino ha l´oro in bocca, film ispirato alla tormentata autobiografia di Marco Baldini, nota voce radiofonica. Quindi un altro film di Virzì, Tutta la vita davanti, sui problemi legati al mondo dei call center, e Il grande sogno, sempre insieme a Scamarcio. E poi ancora il film di Salvatores Come Dio comanda, tratto da una storia di Niccolò Ammaniti. Un´attività frenetica, che gli ha finalmente tolto di dosso l´insicurezza del precariato: «A un certo punto mi hanno piazzato in tutti i lavori perché il sistema funziona così: se hai successo in un film, sono convinti che funzionerai anche negli altri. Però adesso che finalmente mi posso permettere di scegliere, ho cominciato a farmi delle domande e ho capito che voglio recitare in film che mi fanno stare bene, in cui condivido qualcosa con gli altri. Non mi piace l´interpretazione masturbatoria e, se devo scegliere tra una buona squadra e un prodotto di sicuro successo, preferisco la prima perché il valore di un film non lo vedi quando esce ma da quanta gioia ti dà quando lo prepari». Nessuna qualità agli eroi è l´opera cinematografica che gli è costata più fatica. Nei lunghi mesi di preparazione è dimagrito quasi dieci chili ma, alla fine, si è ritrovato in vetrina per una scena di nudo. Al ripensarci gli occhi s´incupiscono, le vene sulla fronte si gonfiano: « assurdo che i giornalisti si scandalizzano perché un attore è nudo, in fondo il sesso fa parte della nostra vita. Non c´è psicoanalisi senza la sessualità di un personaggio e invece alla conferenza stampa di Venezia parlavano solo di quello». Elio non ha un rapporto facile con la stampa e con il pubblico. «Soprattutto la televisione è rovinosa perché crea negli spettatori un senso di proprietà sull´attore. Per la strada ti fanno le foto come fossero allo zoo. Io, se un ammiratore mi ferma, vorrei magari berci un caffè, creare uno scambio umano, ma alla gente non gliene frega niente di parlare, ti vogliono solo mettere sul telefonino perché così diventi una cosa loro. Credo che la colpa sta nel fatto che la televisione ci rende simili a un elettrodomestico e la gente ti sente cosa sua, come il frigorifero o il divano. Nel pubblico del cinema c´è più scelta e di conseguenza maggior rispetto». La parte più brutta del mestiere di attore, anche nel cinema, è la promozione del film. «Ti senti un prodotto da gestire, ti dicono dove andare e cosa dire. Io all´inizio avevo dei problemi perché mi rifiutavo di rispondere e pensavo che mostrarmi in televisione poteva essere un´occasione per recitare e, invece, regolarmente mi chiedono se sono fidanzato o se veramente lavoro nell´orto. E pensare che ero convinto che l´attore, proprio perché interpreta tanti ruoli, dovrebbe essere asettico. Una figura neutra senza storia e senza anima. Poi ho imparato dagli altri e ho capito che è anche una questione di cortesia ma non sempre mi controllo». Un esempio per tutti? «Un giorno mi hanno telefonato e ho risposto che ero in autobus, da allora ho addosso la definizione dell´antidivo che gira in autobus. Figuriamoci, anche volendo non potrei farlo perché a Corviale i mezzi pubblici non ci sono mai arrivati». In questi giorni Elio Germano è sul grande schermo con Il passato è una terra straniera di Daniele Vicari. Un film in cui il protagonista, studente modello, all´improvviso scopre "lo stomaco": la realtà squallida e imperfetta del mondo del gioco. «La mia preparazione è diversa secondo le sceneggiature, in questa ho dovuto costruire l´ossessione di un personaggio che ha vissuto la sua esistenza nella distanza e all´improvviso toglie un tappo all´anima. uno di quei film in cui ti devi immedesimare e costruirti nella testa la stessa malattia del protagonista». In più uscirà a breve Come Dio comanda di Gabriele Salvatores. Faticoso? «Sicuramente, ma niente rispetto alla necessaria promozione».