Francesco Battistini, Corriere della Sera17/11/2008, 17 novembre 2008
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
GERUSALEMME – «Se non accettano, sono pazzi. Sarebbe un’occasione unica: fare pace con tutto l’Islam, dal Marocco all’Indonesia ». L’incontro fu breve. Barack Obama aveva un’ agenda lunga; Abu Mazen, uno scetticismo di lunga data. Ed era luglio, con quel caldo a Ramallah. E poi Dennis Ross, l’ex inviato americano per il Medio Oriente, che non voleva si sbilanciasse troppo, il futuro presidente: guardava Daniel Kurtzer, altro ex dell’area, faceva segni, forse era meglio sbrigarsi.
Obama però la voleva dire, quella cosa, e al presidente palestinese la disse: un piano per l’area c’è. E se Israele non ci sta, «sono pazzi». Obama, giù le carte. Chi c’era, dice che non c’è da farsi troppe domande su che cosa sarà il Medio Oriente, per la nuova Casa Bianca. «Le differenze fra Obama e Bush le misureremo con la lente», dice Sever Plocker, analista politico israeliano. Una fonte «autorevole» vicina al nuovo re del mondo lo conferma: quel che farà, lo confidò in quel viaggio mediorientale, e altro non sarebbe che il «solito» piano saudita 2002.
Allora proposto sull’onda dell’11 settembre, in piena intifada; l’anno scorso, rispolverato dalla Lega araba che lo sottopose a Israele come un aut-aut, prendere o lasciare; a primavera, di nuovo caldeggiato da Ban Ki Moon, il segretario generale dell’Onu. L’estate scorsa, fotocopiato da Obama.
La rivelazione viene dal
Times, che ha ricostruito i colloqui di Obama a luglio e dice che i punti non saranno pubblici prima che qui si voti, a febbraio: 1) riconoscimento d’Israele da tutti i Paesi arabi; 2) ritorno ai confini anteriori alla guerra del 1967; 3) restituzione del Golan alla Siria; 4) capitale palestinese a Gerusalemme est; 5) diritto di veto d’Israele sul rientro dei palestinesi fuorusciti nel 1948.
In realtà, nei progetti di Obama ci sono vari allegati e il principale riguarda l’Iran, unico argomento di politica estera trattato dopo l’elezione: secondo l’Institute for Science and International Security, per convincere Ahmadinejad, penderebbe la richiesta d’uno stop anche ai programmi nucleari d’Israele. C’è già un gruppo al lavoro, per il Medio Oriente. Bipartisan. Ross e Kurtzer, ma anche Lee Hamilton, grande esperto d’Iraq e l’ex segretario di Stato democratico Zbigniew Brzezinski, più il rep ubblicano Brent Scowcroft: oggi si troveranno tutti a discuterne a Londra.
L’idea è sfruttare la «luna di miele» del primo anno di presidenza, dare ottimismo alla regione, evitare d’impantanarsi negli accordi bilaterali come Clinton e Bush: «Sappiamo che non c’è molta carne intorno all’osso del piano saudita – dice Kurtzer ”, ma il grande vantaggio per Israele sarebbe il riconoscimento del mondo arabo».
Si sa come la pensino i due aspiranti premier di febbraio: mezza favorevole Tzipi Livni (che però ha bacchettato il dimissionario Ehud Olmert, qualche giorno fa, quando ha parlato di «ritorno a prima del 1967»), contraria la destra di Bibi Netanyahu. Qualcosa si muove: l’altra sera, a New York, Shimon Peres e il re saudita hanno cenato per la prima volta a uno stesso tavolo.
Francesco Battistini