Mattia Bernardo Bagnoli, La Stampa 15/11/2008, 15 novembre 2008
Partire missionario e tornare ateo. Trovare se stessi dove meno te lo aspetti, nel cuore della foresta pluviale sudamericana, perdendo in cambio l’amore e il rispetto della propria famiglia
Partire missionario e tornare ateo. Trovare se stessi dove meno te lo aspetti, nel cuore della foresta pluviale sudamericana, perdendo in cambio l’amore e il rispetto della propria famiglia. E’ il viaggio unico di Daniel Everett, partito negli Anni 70 per convertire al cattolicesimo la remota tribù dei Pirahã e tornato a casa con una scomoda verità: tutto sommato hanno ragione loro. Una vita densa di significato e di rivolgimenti, quella di Everett - oggi professore in linguistica all’università dell’Illinois. Figlio di «cow-boy», cresciuto in un paesino ai confini del Messico, Everett si perde nella droga e nella California degli Anni Sessanta. Poi la luce: l’incontro con la religione cattolica, da un lato, e con la futura moglie, Keren Graham, dall’altro. Karen è figlia di missionari e, insieme, sposini 18enni, decidono di darsi anima e corpo allo studio delle lingue e alla pratica missionaria. «La religione mi ha salvato dalla droga», ha confidato Everett al quotidiano britannico The Guardian, che lo ha intervistato dopo la pubblicazione del suo libro «Don’t Sleep, There Are Snakes». Everett va quindi a vivere - con moglie e figlioletta al seguito - nel villaggio Pirahã, sul fiume Maici, Amazzonia. Lo scopo e’ quello d’imparare il complessissimo linguaggio della tribù e convertire gli indigeni alla buona novella. Everett si getta anima e corpo nel suo compito: dal 1977 passa almeno quattro mesi l’anno tra i Pirahã. Diventa, dopo anni di sforzi, l’unico uomo al mondo a parlare la loro lingua, che ha tre vocali e otto consonanti. Ma con le conversazioni nascono anche i primi problemi. Che nel caso di Everett prendono forma in una crisi spirituale. «Quale scopo pratico dovrebbe avere la religione», riflette Everett, «se non produrre persone forti, sicure di loro stesse, che vivono in pace con Dio e con il mondo? Convinzioni che non ho avuto modo di toccare spesso con mano. Ed eccomi là con i Pirahã. Che hanno tutte quelle qualità che io dovrei insegnar loro ad avere. Solo non credono nel paradiso e nell’inferno». E quando finalmente Everett riesce a tradurre per loro il vangelo di Luca i Pirahã lo stanno educatamente ad ascoltare ma non ne sono impressionati. Le certezze di Everett, invece, iniziano a vacillare. E non solo dal punto di vista religioso. «I Pirahã mi hanno insegnato a vivere il presente - racconta - e in molti aspetti credo siano molto più avanzati di noi: pensare troppo al futuro o preoccuparsi del passato non è sano. Non ho visto, tra i Pirahã, la depressione che ci affligge e, credetemi, anche loro sono sotto pressione». I Pirahã sono consapevoli dell’esistenza di un altro «universo», hanno avuto a che fare per secoli con missionari, mercanti, avventurieri occidentali. Solo preferiscono vivere a modo loro. Una verità terribile per Everett, che nel 1985 ha ormai perso la fede in Dio. Ma non trova il coraggio di dirlo a sua moglie e ai suoi tre figli - tutti credenti super-praticanti. Dopo cinque anni di crisi lacerante Everett non si trattiene più. E si confessa con Karen. «E’ stato come ammettere di essere omossessuale», confida. A quel punto viene convocato un consiglio famigliare e i figli di Everett si dichiarano sotto choc. «Si sono sentiti traditi. La più piccola mi ha accusato di essere un ipocrita. Ma io ho davvero creduto nella religione cattolica, ero un bravissimo evangelista. C’e’ gente che dice di essere diventata credente grazie a me. Anche loro ora si sentono traditi. Io non prendo queste cose alla leggera. Ma ho avuto una sincera conversione, e non posso cambiare quello che sono». Karen ed Everett alla fine divorziano e due dei tre figli di Daniel non gli rivolgono la parola per anni. Karen accusa quindi l’ex marito di non aver saputo convertire i Pirahã. Come dire, il fallimento è tuo, non del Cattolicesimo. Una tesi che Everett rifiuta seccamente. «Ho comunicato il Vangelo correttamente», spiega Everett, «e i Pirahã lo rifiutano perché lo considerano straordinariamente irrilevante». Ma l’esperienza di Everett coi Pirahã ha un ulteriore, importante, implicazione. Lo studio della lingua Pirahã, infatti, ha portato Everett a negare i fondamenti della «grammatica universale» di Noam Chomsky, il padre della linguistica contemporanea. Suscitando un dibattito che potrebbe cambiare l’idea che oggi abbiamo dell’origine del linguaggio umano - attribuendo cioè maggior importanza all’elemento culturale rispetto a quello biologico. Fosse così, il viaggio di Everett, dopo aver sconvolto lui, potrebbe diventare rivoluzionario per il mondo culturale. I Mura-Pirahã sono un gruppo etnico brasiliano che conta circa 8.100 individui. Vivono nell’Amazzonia, lungo i fiumi Maici e Autaces, nella foresta tropicale. Sono composti dai sottogruppi dei Mura e dei Pirahã. Parlano la lingua Mura-Pirahã, che comprende appena dieci fonemi, conoscono solo i numeri uno e due, nessuna frase con subordinate. Hanno soltanto due parole per descrivere i colori. Negli anni sessanta del XX secolo, la popolazione fu decimata da una elevata mortalità infantile, ma successivamente si è ripresa grazie ai moderni medicinali. Quando fanno scambi in natura con i rari mercanti che incontrano, adottano criteri diversi: a volte chiedono molta merce in contraccambio, in altre, per lo stesso prodotto, si accontentano di pochissimo.