Emiliano Guanella, la Stampa 14/11/2008, 14 novembre 2008
Uno se lo immagina Benicio Del Toro con la barba lunga, la tuta verde, gli stivali di gomma e l’accento misto fra il cubano e l’argentino nei panni di Ernesto Guevara de la Serna, il Che
Uno se lo immagina Benicio Del Toro con la barba lunga, la tuta verde, gli stivali di gomma e l’accento misto fra il cubano e l’argentino nei panni di Ernesto Guevara de la Serna, il Che. L’attore portoricano, stella fra i latinos di Hollywood, è calato a Buenos Aires per presentare il film di Steven Soderbergh Che l’argentino, il primo di due lungometraggi sulla vita del celebre rivoluzionario compagno d’armi di Fidel Castro morto quarant’anni fa sulle montagne boliviane. Uomo-mito che ancora oggi divide e fa sognare. «Il Che - spiega del Toro - non faceva il rivoluzionario di professione ma sentiva ogni giorno la necessità di lottare contro le ingiustizie. Non ha cercato i posti importanti, ha messo in gioco la sua pelle prima per Cuba, poi in Africa e alla fine in Bolivia, lottando per quello in cui credeva. Una persona straordinaria». Del Toro, premio Oscar per Traffic e Palma d’oro a Cannes proprio per la sua interpretazione del Che, spiega che si è avvicinato alla figura di Guevara, quasi per caso, vent’anni fa. «Trovai in una vecchia libreria a Città del Messico una sua foto, non quella famosissima di Korda, ma un’altra di Renè Burri. Era la copertina di una raccolta delle sue lettere dai fronti di battaglia. Mi piacque subito il suo stile serio ma anche ironico». Da allora nasce la base per accettare la proposta della produttrice indipendente Laura Bickford e dello stesso Sodembergh. L’idea, nata durante la lavorazione di Traffic, ha portato ai due film che raccontano l’uomo, il guerrigliero e il politico. Importante la decisione di filmare in spagnolo, pur sapendo che questo potrà provocare molte resistenze per la distribuzione negli States, dove il film arriverà a metà dicembre. Benicio ha visto diversi documentari, è andato a Cordoba, dove il Che passò l’infanzia per curarsi dell’asma e a Cuba. «Ho parlato con sua figlia e con persone che l’hanno conosciuto da vicino, come Calica Ferrer, il suo compagno nel primo viaggio in treno sulle Ande. Con Steven (Soderbergh) abbiamo deciso di partire dal Diario in Bolivia, che raccoglie le lettere del Che dall’ultimo fronte di battaglia, dove morì nel 1967. Volevamo raccontare tutto l’arco della sua vita, dai primi viaggi alla fine senza che diventasse un documentario perché ce ne sono già e sono anche buoni. Il film più corto possibile ci è uscito di quattro ore e mezzo». La figura di Che Guevara è spesso oggetto di critiche in quanto uomo d’armi, che praticava la pace e la fratellanza però uccideva, da abile tiratore, sui campi di battaglia. «Ho dovuto discutere di questo con degli amici. Io non credo nella lotta armata, il Che sì. Questo è vero ma ricordiamoci che davanti a lui c’era gente armata che difendeva l’ordine esistente. Se non uccidevi ti uccidevano, perché questo è quello che succede da sempre in guerra o in una rivoluzione». EMILIANO GUANELLA PER LA STAMPA DI VENERDì 11 NOVEMBRE 2008