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 2008  novembre 14 Venerdì calendario

Con il mondo che sta crollando tutt’ attorno a noi, in una crisi che ha oramai assunto proporzioni davvero globali, il minimo che possiamo aspettarci dai nostri governi è che si incontrino per discutere sul da farsi

Con il mondo che sta crollando tutt’ attorno a noi, in una crisi che ha oramai assunto proporzioni davvero globali, il minimo che possiamo aspettarci dai nostri governi è che si incontrino per discutere sul da farsi. Solo per questo motivo, dobbiamo rallegrarci del vertice convocato a Washington per il 15 novembre prossimo, che raccoglierà attorno a un tavolo le 20 maggiori economie del pianeta. Dobbiamo rallegrarci inoltre che il padrone di casa, George W. Bush, abbia voluto trasformarlo in un incontro globale, chiamando a raccolta non solo i ricchi Paesi del G8, ma anche Cina, India, Brasile, Sudafrica e molte altre nazioni in via di sviluppo. Ma i complimenti finiscono qui. Perché questo summit non produrrà alcun cambiamento radicale, né offrirà soluzioni magiche. Ha già dato adito invece a grandiosi proclami da parte dei leader politici. Tanto Gordon Brown quanto Nicolas Sarkozy hanno invaso le prime pagine della stampa, dichiarando che il vertice imminente avrà un impatto significativo nel riordino degli affari globali, paragonabile alla conferenza di Bretton Woods, nel New Hampshire, tenutasi nel 1944, che plasmò il sistema finanziario e commerciale del dopoguerra. Il presidente francese ha aggiunto che cercherà un accordo su nuovi metodi per regolamentare la finanza; il premier britannico ha auspicato l’introduzione di un programma di stimoli all’economia, coordinato su scala globale. Tali dichiarazioni e proposte lasciano il tempo che trovano. Il vertice del 1944, cui parteciparono 44 Paesi, ebbe luogo dopo ben due anni di preparativi. Il summit di questo sabato, invece, è stato organizzato in poche settimane e non potrà assolutamente ridisegnare «l’architettura finanziaria internazionale », come sostiene Gordon Brown. E se dovesse produrre un nuovo disegno, questo risulterà probabilmente assai scadente, perché formulato in tutta fretta. Ma l’obiettivo non può – né deve – essere quello di produrre un piano globale di stimolo economico. Che proprio questa settimana il Tesoro britannico abbia informato i giornalisti che tale piano verrà presentato al summit, basta a far sorgere più di un dubbio. La ragione dietro tali pressioni è che diversi Paesi – Cina, Giappone e Germania – hanno di recente annunciato interventi per rilanciare l’economia, e almeno altri due – Gran Bretagna e Stati Uniti – si apprestano a fare altrettanto. Pertanto il vertice avrà l’occasione di lanciare uno schema che sta già per essere varato, etichettarlo come risultato dell’incontro, e così Gordon Brown farà la figura del grande globalista. Ma anziché escogitare piani faraonici, c’è da augurarsi che il G20 limiti il suo raggio d’azione. Sarà un incontro fattivo se saprà stilare una chiara lista dei problemi da risolvere a livello globale, e indicare una qualche strada per cercare le soluzioni più idonee. A dire il vero, la lista potrebbe essere ridottissima, perché la maggior parte dei problemi economici del mondo sono di natura interna in ciascun Paese, e come tali richiedono soluzioni interne. L’elenco, tuttavia, potrebbe comprendere alcuni problemi davvero spinosi. A mio avviso, tre sono le voci principali. La prima riguarda la normativa finanziaria: occorre nominare una commissione internazionale per indicare quali aspetti della regolamentazione dovrebbero essere siglati e implementati a livello globale, quali è meglio lasciare ai governi nazionali, e a quale agenzia affidare il compito di redigere e far rispettare le regole. Se sotto questo riguardo i politici hanno una certa fretta, gli economisti sanno che non vale la pena scaldarsi tanto: il vecchio sistema ha già fatto i suoi danni e oggi è necessario mettere in piedi un nuovo sistema per far fronte alla futura ripresa, che però, sfortunatamente, appare assai lontana. Alla commissione occorre dare un anno di tempo per svolgere il suo incarico. La seconda voce riguarda le risorse e le operazioni del Fondo monetario internazionale, che con la sua associata, la Banca mondiale, fu una creazione della conferenza del 1944. Le economie emergenti, come la Cina, hanno scarso potere di voto e contribuiscono pochissime risorse. Il Fondo si è indebolito e burocratizzato, e oggi come oggi vanta ben poca influenza. Una soluzione sarebbe, molto probabilmente, di cambiare il sistema di voto, iniettare nuovo denaro e, forse, operare una fusione con la Banca mondiale per ottenere un’unica istituzione dotata di vero potere. Per risolvere il problema, occorre che la Cina e le altre economie emergenti si dimostrino di comune accordo sulla questione e siano disposte a contribuire di tasca propria. Ma non è detto che lo faranno. Lo stesso vale, a maggior ragione, per il terzo punto, ovvero le manipolazioni della valuta che, limitando la convertibilità e creando massicce riserve, hanno prodotto l’attuale, smisurato scompenso tra le immense eccedenze della bilancia dei pagamenti in Cina e in altri Paesi, e i paurosi deficit in America, Gran Bretagna e altrove. E’ un’agenda ristretta, ma per trovare un accordo sulla soluzione ci vorranno molti più incontri dell’unico previsto per questo sabato. Siamo solo agli inizi.