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 2008  novembre 14 Venerdì calendario

DUE ARTICOLI, DALLA STAMPA


MARIA GRAZIA BRUZZONE
MARIA GRAZIA BRUZZONE
ROMA
Preparato con cura e praticamente annunciato, il blitz della maggioranza in commissione di Vigilanza è stato realizzato. Alla terza votazione, quando per eleggere il presidente bastavano 21 voti, il centrodestra ha messo nell’urna il nome di un parlamentare dello schieramento avverso: quello di Riccardo Villari, senatore napoletano del Pd, ex rutelliano. Nessun accordo bipartisan, anzi. Il centrosinistra ha continuato a votare per il deputato dell’Idv Leoluca Orlando, candidato della prima ora ma bestia nera del Cavaliere, anche se un paio dei voti sono andati a Villari, e già si è aperta la fiera dei sospetti. Uno dei due voti sarebbe il suo, per l’altro si fa il nome del radicale Beltrandi che, però, smentisce di aver tradito la consegna del gruppo(«Ho fatto vedere la mia scheda ai colleghi»). Un ordine tassativo, riconfermato a tutti i democratici dal segretario Veltroni nella riunione di ieri mattina al Nazareno.
Dal Pd all’Idv all’Udc, l’opposizione furiosa denuncia la «gravissima forzatura, che stravolge una prassi consolidata». Veltroni viene nel Transatlantico e parla di «imbarbarimento della politica» e di «atto inimmaginabile, da regime». Di Pietro non rinuncia a uno dei suoi show coloriti e interviene in aula rivolgendosi al «caro presidente del consiglio Videla» parlando di «deriva antidemocratica» e dipingendo il blitz alla Vigilanza un «atteggiamento tipico di una dittatura argentina». Duro anche D’Alema: «Vogliono lo scontro». Ma Berlusconi respinge gli attacchi: «Io sono estraneo. L’elezione di Villari è una scelta autonoma dei gruppi parlamentari. Avendo accettato anche di cambiare il candidato che avevamo proposto per la Corte Costituzionale, pensavamo che l’opposizione seguendo il nostro esempio facesse altrettanto».
Ed in effetti a ben poco era servito a fine mattina l’estremo tentativo di Veltroni e Casini di convincere Di Pietro a proporre alla maggioranza una rosa di nomi, invece della candidatura secca di Orlando. L’ex Pm rifiutava «per una questione di principio: non possiamo accettare veti». Fini da parte sua si diceva preoccupato «sia per la rigidità dell’Idv» sia per una eventuale «rottura della prassi». Tutto inutile. Veltroni in realtà contava sulla consegna precisa ai parlamentari: chiunque venga eletto, si dimette. Una strategia alla quale hanno aderito anche i centristi. Ma quando Villari eletto presidente si presenta a cronisti e telecamere a San Macuto parla invece di un «percorso istituzionale da compiere», prima di decidere che fare. «Andrò dal capo dello Stato e dai presidenti delle Camere, poi mi confronterò col mio gruppo», spiega. Momenti di sbandamento. Si dimetterà? «Probabile» si limita a dire il cauto Gentiloni. «Io lo avrei già fatto», osserva il vicepresidente della Vigilanza, Merlo. Finocchiaro lo chiama al telefono per riportarlo all’ordine. Veltroni racconta di essere stato chiamato e di aver avuto garanzie. «Sta andando a dimettersi». La frase rimbalza nel Transatlantico fino a sera senza trovare conferme, accompagnata da neppur vaghe minacce: «Se non lo fa, si mette fuori dal partito, e dall’opposizione». Finché lo stesso Villari fa sapere per agenzia di aver chiamato Schifani, che vedrà al ritorno in Italia del presidente del Senato. A Fini non ha ancora telefonato.
Tempi lunghi, a quanto pare. E nessuna certezza. «Sbloccare la vigilanza era diventato indispensabile», si compiace il presidente dei deputati Pdl Cicchitto, e altrettanto fa il suo omologo al Senato, Gasparri. Certo, il nome del candidato è stato scelto con cura da una rosa a più petali. «Era stato contattato anche il nostra D’Alia, che ha declinato», rivela il centrista Rao. Adesso, se Villari non si dimette, parte subito il toto-cda Rai. In caso contrario, la partita ricomincia da capo.

FABIO MARTINI
Nella villa sull’Ardeatina, presa in affitto da Goffredo Bettini per celebrare il suo cinquantaseiesimo compleanno, si aggira il solito generone che piace al braccio destro di Veltroni, ci sono potentissimi costruttori come Francesco Gaetano Caltagirone, ma anche attori, registi, politici delle due sponde, a cominciare da Gianni Letta e in questo melting pot alla romana, l’ex direttore di ”Panorama” Pietro Calabrese è in vena di racconti: «Ma lo sapete? Ai primi di ottobre mi ha chiamato Veltroni, mi ha riempito di belle parole, mi ha ”candidato” alla presidenza della Rai. Poi, nel Pd lo hanno bloccato e voi lo avete più sentito?». Già direttore del ”Messaggero”, capo della Cultura all’”Espresso” ma anche direttore di ”Panorama”, Pietro Calabrese è un siciliano estroverso col gusto della battuta ed è anche il personaggio un mese fa individuato da Walter Veltroni e da Gianni Letta come il candidato ”giusto” alla presidenza di una Rai pacificata e sapientemente lottizzata. Ma il leader del Pd - che non aveva informato i sospettosi notabili del suo partito - non è poi stato in grado di onorare gli impegni presi, la presidenza Calabrese è saltata e da quel momento Walter Veltroni non è più riuscito a riprendere il comando delle operazioni nella partita-Rai, non è più riuscito a sparigliare con un rilancio spiazzante e così ieri pomeriggio, dopo sei mesi di gioco statico, davanti all’ultima mossa del Cavaliere, il leader del Pd si è ritrovato in panne.
Con una sequenza bruciante: l’annuncio di Veltroni («Villari mi ha promesso che si dimetterà»), dopodiché il neoeletto presidente della Commissione di Vigilanza è scomparso dalla circolazione. Per tutto il pomeriggio lo ha cercato la sua presidentessa, Anna Finocchiaro e non lo ha trovato. Lo ha cercato l’ex presidente del Senato Franco Marini, che di Villari è una sorta di capocorrente, e non l’ha trovato. Fino a che, a sera, Villari si è rifatto vivo per annunciare che lui non ha fretta. E a quel punto, anche agli occhi del leader del Pd, è diventata più evidente la possibile conclusione della vicenda, con Villari propenso a restare al suo posto, insomma il solito trasformismo all’italiana.
Certo, a sentire un personaggio informato dei fatti come Enzo Carra, «che ci fosse un certo movimento attorno a Villari io l’avevo capito una settimana fa e avevo avvertito chi di dovere...E stata un’opreazione kamikaze, ma il Pd si è schiantato». E il principale artefice del ”movimento” attorno a Villari è stato Italo Bocchino, vicepresidente dei deputati Pdl, uno dei personaggi emergenti del centrodestra, unico allievo dell’ex vicepremier Pinuccio Tatarella. Entrambi napoletani, entrambi tifosi del Napoli, un vecchio rapporto personale anche fuori della politica, Bocchino e Villari hanno chiacchierato nei giorni scorsi e pur scartando l’idea di un’«operazione politica» tipo quella di De Gregorio, hanno imbastito la mossa destinata, in questo facendo felice Berlusconi, a dare un colpo alla leadership Veltroni. A Villari si è arrivati dopo aver depennato dalla lista il radicale Marco Beltrandi («i radicali sono incontrollabili e anticlericali») e dopo aver contattato alcuni commissari dell’opposizione, a cominciare dall’udc D’Alia. Che ha rifiutato. E la scelta è caduta sul «moderato» Villari, con un pedigree trasformista di tutto rispetto: ex-Cdu, ex Udeur, ex Margherita, ex rutelliano. Per Villari, nel caso non si dimettesse dalla guida della Vigilanza, il futuro è scontato: l’espulsione dal Pd. Dice un’”autorità in materia” come Beppe Giulietti: «Il Pd si è fatto trovare all’angolo? Forse, ma quel che a sinistra purtroppo non hanno capito è la vera partita di Berlusconi: il totale controllo del polo mediatico alla vigilia della recessione».