Maurizio Molinari, La Stampa 14/11/2008, 14 novembre 2008
MAURIZIO MOLINARI
CORRISPONDENTE DA NEW YORK
«Non abbandonate il libero mercato e non cedete alla tentazione del protezionismo». George W. Bush parla dalla Federal Hall di Wall Street rivolgendosi ai leader del G20 in arrivo a Washington, chiedendo un accordo sulle riforme finanziarie «che non si basi solo sull’intervento dei governi».
I lavori del summit iniziano questa sera con una cena di lavoro e il presidente in carica sceglie la cornice del distretto finanziario, dove la crisi è iniziata, per lanciare moniti e suggerire l’agenda di un possibile accordo. Il monito è a «non abbandonare il libero mercato» perché «anche se il capitalismo non è perfetto è di gran lunga il metodo più efficiente per sostenere l’economia». La difesa del capitalismo, che Bush definisce «l’autostrada verso il Sogno Americano», nasce dal timore che la tendenza dei governi a fare leva sulla finanza pubblica per fronteggiare la crisi porti ad un’inversione di tendenza che avrebbe esiti incerti.
La difesa del libero mercato dalle tentazioni protezionistiche assomiglia ad un monito al successore Barack Obama, reduce da una campagna elettorale nella quale ha invocato la revisione degli accordi Nafta. «Sarebbe un grande errore consentire a pochi mesi di crisi di minare 60 di successi dovuti alla liberalizzazione dei commerci» avverte Bush, secondo il quale il summit sarà solo «il primo di altri che verranno» per riuscire a superare la crisi innescata dai subprime.
Riguardo all’agenda del vertice, il presidente suggerisce interventi mirati: regole più stringenti per azioni e obbligazioni «per consentire a chi investe di sapere cosa compra»; norme per impedire frondi e manipolazioni; migliore coordinamento fra i sistemi finanziari dei diversi Paesi; più peso alle economie emergenti dentro il Fmi e la Banca Mondiale. Ma dovrà trattarsi di aggiustamenti perché «la crisi non è stata un fallimento del sistema del libero mercato e la risposta non può essere quella di reinventarlo».
A conferma delle differenze che lo separano dal successore Barack Obama, Bush non ha fatto alcun riferimento alla richiesta dei democratici per estendere ai colossi dell’auto i benefici del maxifondo da 700 miliardi di dollari varato dal Tesoro per sostenere le banche in difficoltà. Obama invece marcia in questa direzione, facendo dire ai portavoce che il settore auto ha bisogno di almeno 50 miliardi di dollari per evitare l’incombente fallimento di giganti come General Motor, Ford e Chrysler. Barack ritiene che a gestire tali fondi di emergenza dovrebbe essere uno «Zar dell’auto» con il compito di evitare un tracollo capace di rendere ancora più lunga e dolorosa la fase di recessione.
A dare un’idea delle dimensioni del rallentamento dell’economia è uno studio dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) secondo cui nel 2009 l’arretramento delle principali economie industriali sarà dell’1,5 per cento con Eurolandia indietro dello 0,5, gli Stati Uniti dello 0,9 e il Giappone dello 0,1. E’ la prima volta dalla crisi energetica del 1974-75, dovuta al boicottaggio arabo delle economie occidentali, che l’Ocse prevede la recessione nelle tre principali aree industriali del Pianeta, auspicando «misure di sostegno economico» per accompagnare una debole ripresa nel 2010. Uno scenario che fa prevedere all’Ocse una riduzione dei tassi al 2% nella zona euro paventando il «rischio della deflazione» se la situazione dovesse peggiorare.
A confermare l’indebolimento dell’economia Usa sono arrivati i nuovi dati sulla disoccupazione che portando le richieste di disoccupazione a 517 mila toccano il record negativo dall’indomani dell’11 settembre 2001. Wall Street ha vissuto una giornata contrastata, prima di risolevarsi nel finale, quando dopo le parole di Bush l’indice Dow Jones ha chiuso in rialzo del 7% mentre il Nasdaq ha guadagnato più del 6%.