Arrigo Levi, La Stampa 14/11/2008, 14 novembre 2008
Si possono avanzare delle riserve, e sono state avanzate da varie parti (anche dall’onorevole Giulio Andreotti) sul modo in cui è stata espressa la netta presa di posizione italiana, dal presidente del Consiglio e del ministro degli Esteri, contro il progetto americano di costruire pezzi di «scudo spaziale» tra Repubblica Ceca e Polonia
Si possono avanzare delle riserve, e sono state avanzate da varie parti (anche dall’onorevole Giulio Andreotti) sul modo in cui è stata espressa la netta presa di posizione italiana, dal presidente del Consiglio e del ministro degli Esteri, contro il progetto americano di costruire pezzi di «scudo spaziale» tra Repubblica Ceca e Polonia. Ed è stato inopportuno associare al giudizio negativo sull’ipotizzato «scudo» americano un allineamento sulla posizione russa di condanna del riconoscimento del Kosovo e di altre presunte «provocazioni» occidentali. Il riconoscimento del Kosovo non è stato «unilaterale». Il nuovo Stato è oggi riconosciuto da 52 Paesi, compresa ovviamente, l’Italia. Ma non è motivo di scandalo se, una volta tanto, un Paese della Nato come l’Italia, un alleato di sempre dell’America, che ha dato in ogni crisi prove molto concrete del suo impegno e della sua fedeltà a questa alleanza, esprime un giudizio critico su una delle iniziative più avventate della presidenza Bush. Come è stata, appunto, la decisione sullo «scudo», senza che venisse svolto prima un negoziato altamente impegnativo e al più alto livello per trovare un punto d’accordo con la Russia. Ricordiamo bene la crisi degli euromissili nel 1979-80, quando l’accettazione italiana (governo Cossiga, con l’appoggio esterno di Craxi) di questi strumenti di risposta all’installazione degli SS-20 sovietici fu strumento fondamentale per un negoziato che portò nel 1987 all’accordo sui «missili a medio raggio». Il fatto è che per tutti i decenni della guerra fredda si continuò instancabilmente a negoziare con Mosca, la Mosca capitale dell’Unione Sovietica, su tutti gli aspetti dei rapporti di forza tra i due blocchi. Il risultato fu la graduale costruzione di un imponente complesso di trattati strategici che diede sicurezza all’una come all’altra parte. Fu anche grazie alla stabilità, che ne risultò, del quadro strategico, se la Russia di Gorbaciov accettò senza alcuna resistenza (ritirando entro i propri confini, per centinaia di chilometri, le proprie divisioni da decenni di stanza nel cuore della Germania), il passaggio all’Occidente degli «Stati satelliti». Affermare, come ha fatto il presidente Berlusconi, la necessità ed urgenza di un «faccia a faccia» tra America e Russia sul progetto di «scudo spaziale», ci sembra quindi giustificato: anche se bisognerà forse attendere la nascita della nuova Amministrazione a Washington perché questi negoziati prendano seriamente l’avvio. Soltanto lo strumento del negoziato, su tutti i temi e su tutti i problemi d’interesse per l’una e l’altra parte, con il coinvolgimento anche degli europei, potrà dirci quanto sia realmente pericoloso, e se sia destinato a durare, il preoccupante succedersi di dichiarazioni e di manifestazioni concrete di un nuovo aggressivo nazionalismo russo (a cominciare dall’invasione della Georgia). Minacciarci di collocare dei missili a Kaliningrad è uno sbaglio. Speriamo che sia solo una mossa pre-negoziale, e che si possa ancora riuscire a riportare Mosca a far propria una politica di cooperazione, abbandonando una sfida all’Occidente che ci appare insensata. Non vi è oggi, tra noi e loro, alcun reale conflitto d’interesse, e molti interessi in comune. Per questo ritengo che sia da approvare, e non da condannare, anche la decisione dell’Unione Europea di riaprire il negoziato con Mosca per un nuovo accordo quadro tra Ue e Russia. Stampa Articolo