Financial Times, 13 novembre 2008, 13 novembre 2008
Le statistiche economiche della Cina hanno qualcosa in comune con il suo latte: non ci si può fidare della loro etichetta
Le statistiche economiche della Cina hanno qualcosa in comune con il suo latte: non ci si può fidare della loro etichetta. Nel latte per bambini c’era melamina, nelle statistiche controllate dallo Stato i funzionari hanno qualche volta modificato le cifre ufficiali per venire incontro ai bisogni del partito comunista. L’obiettivo è una crescita regolare. Ad esempio quando si è arrestato il consumo di elettricità in Cina, misteriosamente l’attività economica è andata avanti come se niente fosse. E i 586 miliardi di dollari che il governo si prepara a iniettare in un’economia che cresce del 9 per cento all’anno dovrebbero insospettirci. Le Borse sono rimbalzate quando hanno saputo che la Cina interveniva per mantenere il suo tasso di crescita, ma quel pacchetto di interventi potrebbe non essere quello che sembra. I reali tassi di crescita cinesi potrebbero già essere inferiori rispetto alle cifre ufficiali. Stephen Roach, capo di Morgan Stanley in Asia, dice che Pechino sembra essere nel panico, la crescita potrebbe essere già sotto l’8%, livello sotto il quale, secondo le autorità di governo, diventerebbe difficile mantenere sotto controllo il malessere sociale. C’è una ”evidenza aneddotica” che lo sviluppo cinese è crollato in maniera allarmante il mese scorso, molto più di quanto chiunque avrebbe creduto possibile solo poche settimane fa. Qui un’industria chimica ammette che i suoi ordini si sono dimezzati, là un banchiere spiega che migliaia di industrie del Guandong (la regione motore del Pil cinese) sono sparite all’improvviso. La crescita dell’export è rallentata, ma non si è arrestata, suggerendo che il peggio deve ancora venire. Senza stimoli, ipotizzano gli economisti, la crescita potrebbe rallentare fino al 6%, almeno per uno o due trimestri. Le politiche monetarie cinesi sono state diverse da quelle americane e europee, dove era necessario aggiustare i prezzi del mercato immobiliare. La Cina ha tentato di arginare la sua bolla immobiliare, ma invece di ”pulire” il mercato dagli eccessi l’ha asciugato del tutto. ”La loro rimane una economia boom and bust del diciannovesimo secolo” spiega Arthur Kroeber, direttore dell’istituto Dragonomics. Falliti i tentativi di agevolare una crescita minore, gli sforzi per rilanciare un Pil in forte rallentamento potrebbero anch’essi non andare così bene. Gli analisti sono stupiti da quanto la Cina stia investendo per risolvere il problema, è il 3% del loro Pil. E anche se metà di quella somma è già stata piazzata, come ha detto il governo, l’economia ”totally market oriented” della Cina potrebbe crollare più rapidamente di quanto occorra a chi la governa per trovare nuovi fondi. Il sistema cinese è una struttura fortemente centralizzata che sta vivendo una lenta e irregolare transizione verso l’economia di mercato. Usa e Europa hanno invece iniziato ora a percorrere la strada opposta. Nessuno dei tre può dare una vera svolta alla propria economia. Ovviamente la demografia, la continua urbanizzazione di massa e l’obiettivo di migliorare la produttività può quasi garantire che presto la Cina riuscirà a riottenere alti ritmi di crescita. Ma chiunque immagini che la Cina abbia la capacità di guidare il mondo fuori dalla recessione dovrebbe fare qualche verifica su quell’economia. Perché ,come quel latte, la crescita cinese non è così inadulterata come sembra.