Massimo Gramellini, la Stampa 13/11/2008, 13 novembre 2008
Ogni volta che fallisce una crociata contro l’anomalia televisiva del presidente del Consilvio (l’ultima è il referendum di Grillo sulla legge Gasparri, abortito per mancanza di sottoscrittori), ripenso a un episodio accadutomi nel 2001, alla vigilia di una tornata elettorale vinta dal televisivamente anomalo, tanto per cambiare
Ogni volta che fallisce una crociata contro l’anomalia televisiva del presidente del Consilvio (l’ultima è il referendum di Grillo sulla legge Gasparri, abortito per mancanza di sottoscrittori), ripenso a un episodio accadutomi nel 2001, alla vigilia di una tornata elettorale vinta dal televisivamente anomalo, tanto per cambiare. Avevo degli operai in casa e uno di essi mi sondò con preoccupazione: «Lei che è giornalista e sa di queste cose, non sarà che prima del voto Berlusconi vende le tv?». Lo tranquillizzai: «Conoscendolo un po’, mi sentirei di escluderlo. E comunque, magari succedesse. Ci metteremmo in pari con le nazioni più evolute», e partii col mio consueto monologo sui principi fondanti della democrazia che viene spesso seguito dagli interlocutori con un moto di educata fissità. «Se Berlusconi vende le tv, io non lo voto più», mi interruppe l’operaio. E spiegò: «Finché quello ha le tv in Italia, è interessato all’Italia, quindi anche ai miei affari. Ma se le vende, che interesse gli rimane?». «Cosa dice?», replicai, alzando il mento dell’indignazione fin quasi al soffitto, «avrebbe l’interesse di realizzare i suoi programmi e di rappresentare degnamente le istituzioni». «Appunto. Nessun interesse vero. Se vende le tv, mi diventa un politico e si mette a rubare come gli altri. Che Dio gliele conservi a lungo. Piuttosto, quand’è che facciamo un referendum per abrogare il canone Rai?». Mi arresi a quel mix di Bertoldo e Machiavelli. Forse soltanto un Obama particolarmente ispirato sarebbe riuscito a fargli cambiare idea. Ma forse nemmeno lui. MASSIMO GRAMELLINI PER LA STAMPA DI GIOVEDì 13 NOVEMBRE 2008