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 2008  novembre 13 Giovedì calendario

FABIO POLETTI, INVIATO A MANZANO (UDINE) PER LA STAMPA DI GIOVEDì 13 NOVEMBRE 2008


Il cancello è aperto. La recinzione alta meno di niente. Il terrier e l’husky sono alla catena come sempre. Niente telecamere, solo il videocitofono e l’allarme a sirena che può sentire nessuno, fuori dai tre ettari di questa collina con in cima la villa elegante giallina, due grandi vetrate, la siepe curata, dove i carabinieri vanno e vengono dall’altra sera. «La signora Tatiana era tranquilla. Mica aveva paura. Da queste parti succede mai niente», racconta Bruno Macor, il vecchio giardiniere e factotum e guardiano a casa dei Calligaris, un impero costruito sulle sedie esportate in mezzo mondo, la società controllata dal colosso del lusso francese Lvhm. Una dinastia di imprenditori partiti dal nulla che sui giornali finiva per i bilanci sempre con gli indici alle stelle, mica per queste tre pistolettate sparate nella schiena a Tatiana Tulissi, 37 anni l’8 dicembre, una signora bionda che da cinque anni viveva con Paolo Calligaris, il nipote dell’imprenditore friulano che ha fatto conoscere nel mondo «Manzano, capitale della sedia».
L’allarme del convivente
«Se qualcuno sa qualcosa parli. Non escludiamo nessuna pista. Aspettiamo l’arrivo dei Ris». Dice niente il procuratore capo di Udine Antonio Biancardi, l’ultimo omicidio, quello sì risolto l’anno scorso, ma in centro città, non nel nulla di questa collina, zero recinti, zero paura e indagini a zero. «Abbiamo sentito tutti i familiari. Li abbiamo sottoposti allo stub, al guanto di paraffina. Per farlo abbiamo dovuto emettere degli avvisi di garanzia ma sono solo un obbligo dettato dal codice», spiega il magistrato dopo una notte in caserma. A sentire Paolo Calligaris che ritorna a casa alle 18 e 30, lancia l’allarme al 118 tre minuti dopo e dice che sua moglie è svenuta e sta male perchè nemmeno si accorge di quei tre forellini nella schiena, che passano il cappotto, trapassano il cuore, finiscono sulla catasta di legna che Tatiana Tulissi stava ammonticchiando per accendere il camino.
«Ho sentito sparare, sembravano petardi, potevano essere bracconieri, povera donna...», dice la vicina della villa più sotto. Ha visto niente. Ripete tutto ai carabinieri che mettono i sigilli, stendono il nastro bianco e rosso e aspettano che sia il medico legale a dire qualcosa, forse già oggi. Si sa che chi ha sparato ha usato una pistola di piccolo calibro. Forse a tamburo perchè i bossoli non si trovano, come l’arma. Si sa che Tatiana Tulissi ha cercato di difendersi, faceva arti marziali, sul suo corpo ci sono i segni della colluttazione. Chi le ha sparato lo ha fatto quando lei si è voltata, mentre cercava di scappare da quell’uomo, da quella donna, da quel gruppo di persone e non si sa nemmeno questo. Un vicino giura di avere visto un quad, una di quelle moto a quattro ruote, fare su e giù dalla collina poco prima o poco dopo l’omicidio. Lo guidava il figlio del convivente della donna uccisa. Fanno lo stub pure a lui perchè non si sa mai, ma a nessuno verrebbe in mente un epilogo così intricato, in questa storia che finisce a colpi di pistola e vai a sapere dove inizia.
In casa manca niente. L’omicidio avviene all’ingresso, comunque fuori dalla villa. Chi ha in mano una pistola non è un tiratore scelto. Spara cinque colpi da un metro o poco più, ne vanno a segno tre. «Stiamo cercando il movente dell’omicidio di una persona tranquilla, che non aveva particolari problemi», si aggrappa al niente, il magistrato di Udine. Se era un tentativo di rapina è finito male. Se doveva essere un sequestro lampo e lei ha reagito è finito peggio. Il movente passionale e quello familiare sono quelli venuti in mente prima. L’ex marito di lei stava nel suo studio dentistico a Udine. Il nome dell’ex moglie di lui, che di Tatiana una volta era amica, finisce nel mucchio dei conoscenti che i carabinieri annotano per scrupolo. Rancori famigliari, non se ne conoscono. Una vendetta legata al mondo degli affari, appare improbabile. Colpire la convivente del nipote per mettere in ginocchio l’azienda, pare troppo anche agli investigatori più sospettosi.
«Non sarà facile. Ci vorrà tempo...», non si sbilanciano i carabinieri che sentono tutti, guardano ovunque in questo paesino di seimila abitanti, vigne e campi coltivati e l’oro di un’azienda che vale molto. Dalla famiglia rinchiusa a doppia mandata nelle altre due ville sulla collina non arrivano commenti. Se qualcuno ha paura, non lo dice. Se qualcuno sospetta qualcosa, si spera che lo dica ai carabinieri. «Chi ha ammazzato la signora Tatiana è solo un vigliacco», ripete il vecchio Bruno, il giardiniere che stanotte libererà i cani come sempre. Ma solo di notte perchè di giorno era facile che scappassero.

FERDINANDO CAMON PER LA STAMPA DI GIOVEDì 13 NOVEMBRE 2008
La signora ammazzata a Manzano apparteneva a una famiglia ricca, non della ricchezza segreta e nascosta, visibile soltanto agli ospiti invitati a cena, bensì di una ricchezza palese, nota a tutti: la grande borghesia lavoratrice che è stata sollevata in alto dal boom del Nord-Est e che in alto è sempre rimasta.
Tuttavia ammazzarla è stato facile, troppo facile. una borghesia abbiente ma indifesa: continua a sentirsi difesa dal proprio successo, com’è sempre stato finché il Nord-Est era Tre Venezie, perché nelle Venezie la ricchezza imponeva rispetto, teneva alla larga, staccava il contatto. Se uno diventava ricco, voleva dire che aveva fortuna, ma la Fortuna si può anche scrivere maiuscola, e allora ha qualcosa di sacro. Dipendenti, operai, giardinieri, contadini, domestici, tutti avevano rispetto dei padroni, e i padroni erano garantiti da questa atmosfera, dalla potenza.
Quel tempo è finito da anni, da un decennio e passa. La malavita ha capito che poteva colpire, le vittime non hanno capito che potevano essere colpite. Cioè: la criminalità è moderna, la ricchezza delle ville è arcaica. Succede così dove la storia della società, o la vita dei personaggi, ha preso la rincorsa.
Nel Cansiglio, sui Berici, sui Colli Euganei, tipiche zone da seconde case, le rapine sono così frequenti che i padroni non mettono neanche più le sbarre alle finestre, perché servono solo a incattivire i ladri e ad aumentare i danni all’edificio. Non tutte le ville hanno i cani. Quando ci sono i cani, sono cani cattivi.
Fatalità, proprio ieri è stato ricoverato all’ospedale di Padova un padrone sbranato dal proprio cane, che non lo aveva riconosciuto, e non era la prima volta. Sì, nelle case c’è qualche arma, e i domestici hanno il compito di controllare chi arriva, anche di notte: al minimo rumore, si accendono i fari.
Ma i domestici sono di solito indiani o filippini, appena possono fanno il ricongiungimento, ricompongono la loro famigliola, e hanno la loro vita. La polizia non passa mai, questo è il problema. Non è che passi raramente, non passa proprio mai.
Siamo al confine tra uno Stato che non ce la fa e una protezione privata che non è ancora partita. Il prossimo passo sarà la venuta dei vigilanti di strada o di quartiere: armati, pagati, passano e ripassano a tutte le ore, e possono sparare. Come in America. A Los Angeles pranzi in bei salotti, muri a vetrate, un pazzo con una pedata può sfondare tutto e ti ha in pugno. Ma i vigilanti passano continuamente, mentre mangi ti osservano dalle finestre.
Stiamo camminando verso quella società. La morte di questa povera signora di Manzano è una spinta ad affrettare il cammino.
fercamon@alice.it