Francesco Bonazzi, la Stampa 13/11/2008, 13 novembre 2008
Boss, mezzo-boss o soldato, il messaggio della Camorra non cambia: se stai carcerato, non ti deve mancare nulla
Boss, mezzo-boss o soldato, il messaggio della Camorra non cambia: se stai carcerato, non ti deve mancare nulla. Lo Stato fissa in 520 euro al mese il massimo dei soldi che un detenuto può ricevere da fuori per il cosiddetto sopravvitto? Non c’è problema. Per chi è al «41 bis», il carcere duro per i capi, «la mesata» non sgarra di un centesimo. Stessa musica per chi è rinchiuso nel circuito dell’alta sicurezza e fin qui, se vogliamo, nulla di strano. Ma la vera potenza della Camorra si vede da un altro dato, scovato spulciando la contabilità interna di Poggioreale. Qui, anche l’ultimo dei soldati mischiato ai detenuti comuni riceve almeno 312 euro al mese. Per forza di cose è una media di Trilussa, ma serve a fare i paragoni con i penitenziari dove la Camorra è poco presente: perché quei 312 euro sono il quintuplo di quanto arriva a un detenuto di Bergamo, Como o Monza e il triplo della media registrata a San Vittore. Insomma, è il segno che alle spalle di chi è rinchiuso a Napoli c’è un’organizzazione che ammazza, ma ha un suo senso del welfare. E se ci si sposta a Secondigliano le proporzioni non cambiano: ogni giorno di colloqui, entrano mediamente 75 euro a testa, contro i 15 di un carcere veneto. Carne di prima qualità L’altra faccia di Gomorra, quella che assiste i suoi figli privati della libertà, è proprio questa. Fatta di soldi per le sigarette, la carne buona, il sugo da cucinare come si deve e le bombolette di gas per i fornelli. E’ una faccia da buon samaritano che affiora dal documento contabile redatto ogni mese da un agente penitenziario che guadagna 1.400 euro al mese, senza indennità di cassa, e deve maneggiare con precisione oltre 900 mila euro. Nel prospetto di settembre, ad esempio, l’ufficio conti correnti di Poggioreale registra alla voce «fondi disponibili» 981.843 euro e 85 centesimi, mentre alla voce «uscite» riporta 623.566 euro e 77 centesimi. Se si tolgono i circa 300 tossicodipendenti (che di soldi in più non ne vedono proprio) e si dividono quei 623 mila euro tra i duemila detenuti comuni, si ottiene una media di 312 euro a testa di spesa. A questo punto, chiunque non sia mai entrato a Poggioreale si fa un’altra domanda: ma questi 2000 detenuti sono tutti camorristi? Ecco, il punto nodale è questo: formalmente magari non lo sono (spesso sono tenuti lì per reati comuni, in attesa che un pentito li incastri), ma anche chi è dentro per aver investito un passante rischia di essere ben presto arruolato. Ed è proprio il meccanismo della «spesuccia» a tradire il sistema. Quando si entra a Poggioreale, la miglior fortuna che possa capitare è quella di finire nella cella di un camorrista. Anche se il nuovo entrato non riceve un euro dai colloqui, il capo-cella pensa al suo vitto: raccoglie i soldi da tutti gli occupanti, fa l’ordinazione e riceve la spesa dal mercatino interno (spesa che qui, curiosamente, viene consegnata alla «stanza» e non al singolo). Per dare un’idea dei consumi, ogni mese si spendono 200 mila euro in sigarette e il resto va in prodotti alimentari o per l’igiene personale. Spesso quel «nuovo entrante» è uno che ha fatto una rapinetta da «sminchiato», come si dice in gergo, ovvero un’impresa da dilettante. In cella viene però accolto come un fratello. Se è povero gli si regalano cibo e sigarette, e anch’egli inizierà fin da subito a rimandare indietro il vitto dell’Amministrazione penitenziaria. Del resto, per chi fa parte della Camorra, snobbare il simbolo di quei 400 euro al giorno che lo Stato spende per ogni detenuto è una pubblicità magnifica. Se poi il «nuovo entrante» accetta di sdebitarsi con la stanza, magari facendo uscire un pizzino o accollandosi qualche reatuccio altrui, come per magia comincerà a ricevere pure lui parecchi soldi dai familiari. Alla fine il risultato è quello che si ricava dalle cifre pazzesche scritte in fondo alla contabilità mensile di Poggioreale. L’obolo al colloquio I soldi vengono da fuori, già. E da dove arrivino è tutta un’altra storia. Basta sostare un po’ sul marciapiede davanti al carcere all’alba di un qualunque giovedì per vedere la fila di mogli, fidanzate e parenti vari in attesa di entrare. Prima d’incontrare i loro cari, passeranno all’Ufficio conti correnti per versare il loro obolo, dopo aver fatto una nuova lunghissima coda. In realtà, ci sarebbe un altro sistema molto più efficiente per trasmettere quei soldi a gente che è tutta ammessa al gratuito patrocinio perché «indigente» (boss a parte, noblesse obblige): andare alla posta e fare un bel vaglia. Funziona così in gran parte d’Italia, ma qui non più. Perché in certi uffici postali del napoletano ci andavano ogni tanto anche i poliziotti per capire chi manda realmente tutti quei soldi a Poggioreale. E’ bastata qualche domanda di troppo e ora «la paghetta» della camorra viene affidata direttamente alle famiglie. Se vogliamo, dal punto di vista della gestione delle risorse umane, è anche un sistema più amichevole. FRANCESCO BONAZZI PER LA STAMPA DI GIOVEDì 13 NOVEMBRE 2008